Non c’è bisogno di dire che i dati non sono confortanti, anche se spesso ci si ferma a fine 2010, e la caduta del 2011, nota per la prima metà dell’anno e prevedibile per la seconda metà, è ancora priva di dettagli.
Ma, guardando i dati della disoccupazione, della immigrazione, della scuola, per provincia, le differenze diventano più importanti delle somiglianze. Qualche speranza si può nutrire. Meglio: si possono immaginare percorsi, cose da fare, tendenze da sostenere, invece di farsi travolgere dalla enormità delle cifre della finanza internazionale, su cui anche gli Stati trovano difficile intervenire, e dal fatto, più vicino ma molto difficile da cambiare nel suo insieme, che i giovani guadagnano meno dei vecchi, sono più disoccupati dei vecchi e perciò, se non ci sono interventi sulle situazioni di privilegio, difficilmente gli pagheranno una pensione adeguata. Per non parlare della pensione loro, quando verrà il momento.
In Piemonte, per esempio, la disoccupazione in provincia di Cuneo è al 3,4% (2,7 per gli uomini, 4,4 per le donne); cioè frizionale. Ma Cuneo è solo la terza in Italia: Bolzano e Trento stanno meglio; Trieste è al 4,4%, Verona al 4,7, Firenze al 4,8, Bologna al 5,0, Alessandria al 5,1, Milano al 5,9 ecc. È vero che Torino, che è mezzo Piemonte, è al 9,4%, peggio di Roma, vicino alla soglia di crisi del 10%, e Biella, vecchia industria tessile, è all’8,1%. E che ci sono le tragedie di Palermo con la media al 18,7% e di Napoli al 15,7% -figuriamoci le donne e i giovani! Ma il quadro è articolato. È in caduta la grande industria, in particolare metalmeccanica; tengono le aziende medie e piccole; tengono o crescono le medie aziende di nicchia; cresce l’alimentare e, nelle zone di crescita, anche della popolazione, cresce l’edilizia. La nutella, il cioccolato, il panettone, vanno forte, e trascinano le case e i capannoni.
Ma allora non avrà ragione la Lega e il problema si risolverebbe, per il nord, segando l’Italia in due? Non proprio. La realtà è che la domanda di lavoro determina l’offerta, e perciò la popolazione e l’immigrazione. Cuneo, che conosco più di Trieste, non esisterebbe senza gli stranieri. Il saldo naturale della popolazione -nati meno morti- è negativo, come a Biella. Solo che a Cuneo, nell’industria e in agricoltura, c’è bisogno di lavoro, che arriva dal Marocco, dall’Albania, dalla Romania, e perciò la popolazione cresce leggermente, le scuole tengono, l’edilizia va, i giovani -stranieri- ci sono. A Biella non va nessuno da fuori; non ci sono nuovi immigrati; la popolazione scende dello 0,4% per anno. Nel cuneese è straniero il 30% dei nuovi assunti; 40% nell’edilizia. A Biella il 7%, semplicemente perché i nuovi assunti non ci sono. Questo non vuol dire che Biella affondi nella miseria e Cuneo sia il paradiso. Biella è stata un polo tessile di piena occupazione (e bassa istruzione) per un secolo. Le case, i risparmi, non si bruciano in un minuto. Il futuro dovranno reinventarselo, come ad Ivrea, dove l’eredità Olivetti si vede ancora bene, ma mostra un po’ la corda. E i paesi del cuneese faticano a trovare le giuste vie per la convivenza, come dimostrano le escandescenze leghiste. È capitato, a me non credente, di accompagnare a Carmagnola una suora della Pastorale dei migranti della Diocesi di Torino -una vecchia contadina molto umana, molto capace- per cercare in sede sindacale una soluzione alla pendolarità delle nigeriane, che lavoravano e lavorano alla Ferrero, ma abitavano a Torino, e perciò dovevano andare alle 5 a Nichelino, da dove parte l’autobus che arriva, due ore dopo, a un chilometro dalla fabbrica, da fare a piedi, col sole o con la pioggia. Siamo stati trattati con molta cortesia, ma non siamo approdati a nulla, perché nessun sindacalista si è preso la responsabilità di portare le nigeriane in paese. Ma intanto, malgrado in Piemonte ci sia il 9% di bocciature in più nel primo anno delle secondarie di secondo livello per gli alunni stranieri -28% invece del 19%- le ragazze e i ragazzi stranieri di seconda generazione, senza problemi di lingua, cominciano ad andare meglio dei loro coetanei italiani. La media resta bassa; la dispersione è, a dir poco, preoccupante, al 35% in media; ma, come si vede in alcuni licei, i figli e, soprattutto, le figlie, di genitori ben inseriti, vanno spesso meglio dei loro coetanei italiani.
E nel Mezzogi ...[continua]
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