L’immagine e i numeri
Con la crisi e l’aumento della disoccupazione i migranti stranieri sono diminuiti. I migranti italiani -da sud verso nord, dall’Italia verso l’Europa e il mondo- sono aumentati. È ovvio. Nessuno, se non sta fuggendo da una guerra, se non è in un profugo, va in un paese in cui il lavoro non si trova. Ci si ferma altrove -o si prosegue per altrove, insieme ai locali che non ce la fanno più ad aspettare. Ma quanti sono i migranti in arrivo e in partenza, italiani e stranieri? Si tratta di numeri importanti, dal punto di vista umano, sociale, economico, politico. Persino elettorale.
Non solo i lavoratori stranieri residenti producono e non votano, ma, come ha fatto notare Ferruccio Gambino su "Sbilanciamoci” del 22/03/13 in I predatori del voto negato, contribuiscono a determinare la ripartizione degli eletti tra regioni, senza essere elettori, a vantaggio delle regioni con più immigrati. E gli emigrati italiani che non si sono iscritti all’Aire non possono votare dal paese dove lavorano; devono viaggiare per votare, e spesso non riescono a farlo. Hanno un diritto di voto dimezzato. In Italia una legge elettorale assurda consegna il 55% della Camera al partito che ha la maggioranza relativa anche solo di un voto (nella realtà, come è noto, è capitato che la maggioranza fosse di qualche decina o centinaia di migliaia di voti). I milioni di lavoratori stranieri senza diritto di voto, le centinaia di migliaia di lavoratori italiani per cui è difficile esercitare il loro diritto dovrebbero essere un problema centrale, discusso, affrontato in sedi istituzionali, non un problema marginale, affrontato solo da Tutta la città ne parla.
Sulla emigrazione interna, da sud a nord, soprattutto di insegnanti e impiegati, ha organizzato negli anni discussioni molto ben documentate Fieri. L’emigrazione italiana verso l’estero, soprattutto di quella dei laureati, ha fatto notizia su "Huffington Post” sul sito della "F.I.E.I.” (Federazione italiana emigrazione immigrazione), su "Cambiailmondo”, su "Talenti in fuga”. Si sono lette stime anche azzardate -800.000 nuovi migranti- ottenute moltiplicando per due il numero di iscritti all’Aire. su cui è intervenuto criticamente ed autorevolmente Livi Bacci sul numero 201 di "Una città”. Allora: quanti sono gli immigrati in Italia, e gli emigrati dall’Italia, italiani e stranieri? Quanti sono adesso o l’anno scorso, non anni fa? È vero che, dopo quarant’anni, forse il flusso migratorio si è invertito o si sta invertendo e quelli che escono sono più o meno quanti quelli che entrano?
La risposta, come per i cosiddetti cervelli, è che non si sa. Non si sa cosa stia succedendo, mentre la disoccupazione cresce e la povertà aumenta. I dati Istat arrivano con un anno e mezzo di ritardo o più. Sono datati al primo gennaio e perciò possono sembrare più recenti. I dati 2012, che vengono citati, riguardano in effetti il 2011, che per giunta è un anno di censimento. Dopo il censimento i dati anagrafici sono stati corretti; la serie storica dei presenti è stata ricalcolata, con stime e approssimazioni. Se il censimento trova meno stranieri di quelli che risultano dalle anagrafi (circa 800.000 questa volta), come è avvenuto del resto al censimento precedente e ad ogni controllo per le regolarizzazioni, non vuol dire che sia in atto un esodo. Enrico Pugliese, commentando la prima pubblicazione dei dati, scrisse sul Manifesto "se ne sono andati o non li hanno trovati”. La Pubblica amministrazione cancella d’ufficio la residenza dello straniero regolare solo quando ne registra una nuova in Italia. Se lo straniero espatria senza notificarlo al Comune, ma anche se si trasferisce in Italia senza chiedere una nuova residenza, perché è diventato irregolare e quindi non può richiederla o perché trascura di farlo, l’anagrafe non lo cancella, ma l’addetto del censimento non lo trova. Può non trovarlo anche se abita regolarmente all’indirizzo abituale, come è accaduto a tanti italiani stabilmente residenti, perché la macchina del censimento è imperfetta. Bruno Anastasia, che si è occupato a lungo di rilevazione dei migranti per la Regione Veneto, in due pagine metodologiche reperibili in rete a suo nome, ha sostenuto che i dati del 2011 sono semplicemente inutilizzabili. Bisogna aspettare la pubblicazione dei prossimi dati Istat, datati 1 gennaio 2013 e riguardanti perciò il 2012; e usarli con cautela, perché l’emergenza in atto aumenta le possibilità di errore. L’annuario della Caritas ha fatto notare che i ritardi di registrazione, che normalmente si compensano da un anno all’altro, se c’è un brusco mutamento, o addirittura una inversione, dei flussi, producono false discontinuità. Non bisogna enfatizzare né la fuga degli stranieri né quella degli italiani. Bisognerebbe però saperne di più.
La realtà e la misura
Al contrario, negli ultimi anni, anche per effetto di scelte politiche delle regioni amministrate dalla Lega, forse per il venir meno dell’interesse per i nuovi arrivati che non sono più percepiti come un’emergenza, i tentativi di conoscere, di contare gli immigrati sono diminuiti o hanno incontrato difficoltà. Gli emigrati, come sempre, semplicemente non esistono. Hanno avuto un modesto peso sindacale quando sono stati numerosi e organizzati, nelle miniere belghe, nelle fabbriche tedesche. Hanno fatto notizia quando hanno perso la vita in incidenti epocali -per tutti, Marcinelle. Ma spariscono dalla storia d’Italia. Ora se ne parla sotto il titolo ingannevole di fuga dei cervelli, come se per emigrare bisognasse avere qualità eccezionali. In generale, i titoli di studio dei cittadini italiani che emigrano sarebbero più alti della media; ma non necessariamente si tratta di fuga dalle università clientelari e baronali, che ci sono da sempre. Si tratta, probabilmente di fuggire da un paese che ha la disoccupazione al 12%, (30%, anche 50% al sud, per i giovani) per andare in paesi con la disoccupazione al 4%, come la Germania, o simili. Paesi che, del resto, prendono misure per ritardare il pagamento del sussidio di disoccupazione agli immigrati comunitari e negarlo ai non comunitari.
Cosa possiamo fare per saperne di più, per capire se, oltre alla crisi, ci sono anche altre cause dell’aumento dell’emigrazione, come tipo e qualità della formazione, povertà locale, criminalità? O della diminuzione dell’immigrazione, come la sostituzione dei poveri locali a quelli importati?
Per l’immigrazione, se si dà per scontato che chiedere di rendere più rapido l’Istat sia come chiedere di accelerare la rotazione terrestre, basterebbe contrastare l’assurda tendenza alla centralizzazione che è prevalsa di fatto tra tanto parlare di federalismo. Una decina di anni fa erano disponibili per il Veneto i dati sulle assunzioni e i licenziamenti di Anastasia, per la Lombardia le ricerche sull’accoglienza e l’assistenza, per il Piemonte le elaborazioni comunali e provinciali sui permessi di soggiorno e le residenze, aggiornate anche a poche settimane prima. Indicatori, certo, non numeri completi e coerenti. Oggi i dati delle Questure vanno a Napoli e tornano in un formato non facilmente utilizzabile. A Torino l’impiegato dell’anagrafe che faceva ottime elaborazioni sui dati comunali è stato trasferito ad altro incarico. A Milano persino l’Ismu è costretto a commentare numeri di due anni fa. In compenso non mancano mai le previsioni e le proiezioni; tanto quelle le fà il computer. Anche l’Ismu, che non può dirci quanti sono gli immigrati presenti, ci dice quanti saranno -nell’ipotesi centrale, naturalmente- tra trent’anni. I modelli hanno sostituito la realtà. È un vero tracollo culturale, anche perché in genere manca la sottolineatura degli errori passati.
Qualche decennio fa, quando, come sempre, aspettavamo la crescita, qualcuno pubblicò la sovrapposizione delle rilevazioni, completate da previsione, degli ultimi anni. Il risultato era una specie di coda di gallo disegnata da un bambino. Dalla curva dei dati reali, ostinatamente quasi piatta, ogni anno si impennava una curva ascendente, prontamente smentita dalla realtà e sostituita da una analoga l’anno successivo.
Siamo andati avanti per vent’anni sbagliando per difetto la previsione dei nuovi immigrati. Le pensioni nel 2010 di Ermanno Pitacco, pubblicato nel 1989, sottostimava di più di quattro milioni gli immigrati presenti nell’anno indicato. Ora che le politiche adottate dai governi rischiano di produrre un’uscita importante gli immigrati e gli emigrati dovremmo contarli in fretta, e parlarci. Qui o in Germania, dove ricercatori, anche italiani, non mancano.
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