Venticinque anni fa, in occasione della commemorazione dei quindici anni dalla scomparsa di Lamberto, ci vedemmo e ne parlammo.
Eravamo un gruppetto di ex compagni di scuola, di una classe del liceo scientifico, che lo avevano conosciuto e frequentato, e che avevano condiviso comuni esperienze. Uno di noi, Gianni Saporetti, si fece carico allora di tradurre la nostra conversazione in una testimonianza, presentata all’incontro promosso dalle Acli.
Si è trattato di una testimonianza emblematica nel rappresentare una vicenda umana, ma anche culturale, che ci coinvolse in modo travolgente e che ci appartiene ancora oggi, dopo un  tempo lunghissimo.
Così in questa circostanza ci è sembrato naturale, anche se forse inusuale, riproporre i passaggi essenziali di quella testimonianza, non solo per il racconto che offre, ma anche perché spiega molto della nostra attuale esistenza, delle ragioni di un impegno collettivo che, nonostante tutto, continua.
In fondo le testimonianze più importanti sono quelle che sanno vincere l’esame del tempo, che sembrano paradossalmente rivolgersi al futuro.


Dall’autunno del 1965 all’estate del 1968 è il periodo in cui con un gruppo di amici di scuola ho frequentato Lamberto. Sono anni ormai lontanissimi, ma non abbiamo mai smesso di ritornarci sopra e non solo perché Lamberto e il ’68 li rendono indimenticabili, ma anche perché sono tuttora stimolo per riflessioni utili anche al presente.
Eravamo ragazzi e si girava attorno al Corso della Repubblica. Ci si ritrovava in un microcosmo giovanile già cinico, dove contavano solo i vestiti alla moda, la condizione sociale dei genitori, la bravura con le ragazze intese come trofei. Avevamo messo su anche un circolino che per poco non divenne una bisca in miniatura e in cui riservavamo il sabato per improbabili approcci con le ragazze.
Fu Andrea Bolognesi, cognato di Lamberto ma più giovane di noi, ad invitarci in parrocchia, a Ravaldino, a un dibattito sui "problemi giovanili”. C’era Lamberto, che alla fine della riunione ci invitò a casa sua dicendo che il sabato sera si ritrovavano in tanti. Ci adottò in gruppo. E per dei sedicenni fu come incontrare un professore straordinario, insieme direttore spirituale, psicologo, amico.

È difficile rendere la casa di viale Salinatore, le discussioni in quel salotto, i suoi racconti, per noi favolosi, di ritorno da Roma, i nostri viaggi a Roma, fra cui quello al congresso delle Acli con Labor segretario uscente. È difficile raccontare la quantità di stimoli che ci rovesciava addosso. Vogliamo solo mettere in evidenza come Lamberto sapesse restituirci delle parole con un senso. Un senso concreto, quotidiano, esistenziale. Se parlava di "crisi dei valori” e criticava quelli dominanti, le famose tre esse, sesso-soldi-successo, non lo faceva mai in modo moralistico, ma per dimostrarne lo squallore, l’effetto alienante. Semplicemente non ne valeva la pena. E se ci parlava di "prossimo” riusciva a dargli le sembianze del prossimo vero e proprio, del più prossimo per noi, il compagno di banco.
E incitandoci all’amicizia non si limitava a denunciare quella falsa, goliardica, basata sul disprezzo della donna e sulla diffidenza, ma ci indicava i mezzi, gli arnesi quasi, dell’amicizia autentica: la simpatia nel suo significato originale del sentire e soffrire insieme e, quindi, la confidenza, vera pratica da imparare, da affinare. Ma anche il dialogo non lo intendeva come scontata tolleranza dell’altro, ma nel modo concreto, vitale della curiosità. Curiosità degli altri, di se stessi, del mondo. Delle novità. Vedere possibilità ovunque, suscitare energie.
E sapeva ascoltare. Raccontava come da giovane, berretto verde dell’integralismo cattolico, non lasciasse parlare mai nessuno. E così, va da sé, non cercò mai di "convertirci”, tuttalpiù ci poteva chiedere di leggere e discutere con lui una pagina del Vangelo.
Tutto ciò che faceva di buono, poi, Lamberto lo girava sul conto di Papa Giovanni.

In questi giorni discutendone con amici comuni, si diceva che Lamberto non mise mai in discussione il primato della parola. Ed è vero. Pur cercando di riabilitare il corpo, anche dalle condanne traumatiche della tradizione cattolica, riproponeva nei fatti un primato della parola.
Ma qui ci si scontra con un problema difficile che dopo, forse, neppure psicoanalisi, movimenti, femminismo, hanno districato.
E un amico a lui carissimo diceva poi, ed abbiamo anche riso, che a Lamberto la natura ...[continua]

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