Ciro Naturale, laureando in Filosofia all’Università Federico II di Napoli, vive a Barra.

Mi chiamo Ciro Naturale e abito a Barra da quando sono nato. Sono figlio unico di ragazza madre, che lavora come dipendente in una ditta di pulizie.
Sono iscritto all’università, alla Federico II, e sono vicino alla laurea in filosofia. Se me lo avessero detto, non ci avrei mai creduto che uno come me, cresciuto in corso Sirena, senza stimoli culturali di alcun tipo, sarebbe riuscito a portare avanti un percorso di questo tipo; all’inizio sembrava una strada molto lontana da tutto quello che ci circonda, qua a Barra, in questi che mi va di definire luoghi dimenticati. Luoghi e persone dimenticate.
Non ci avrei mai creduto soprattutto perché all’inizio ho avuto dei seri problemi con la scuola; alle superiori mi sentivo un disadattato, ero uno di quelli che lancia sedie, che dice parole, che si fuma le canne nei bagni. Però avevo interesse per lo studio e questo mi ha sempre fatto reggere l’urto con una scuola che tende a sospenderti, a bocciarti, a metterti fuori. Io invece più venivo sospeso e più studiavo, questa era la mia reazione. Ho avuto anche una grande forza di volontà, non mi sono fatto bocciare, mandare a casa; io a scuola ci sono sempre ritornato, perché la passione in me era forte; avevo paura di essere tagliato fuori, di perdere quei pochi riferimenti significativi che avevo; temevo che quel mandarmi a casa potesse significare rimanere a casa per sempre. E poi, nel fare scattare la molla, molto ha contato il fatto di essere il figlio unico di una ragazza madre, che quindi, già di partenza, aveva meno possibilità degli altri. Però da solo non sarei mai riuscito a intraprendere un percorso universitario, e non mi riferisco tanto alla disponibilità economica, perché poi se c’è la passione i soldi per le tasse vengono fuori, i libri te li prestano gli amici o gli altri studenti, quanto agli stimoli culturali necessari, che in famiglia non avevo. Ho avuto la fortuna di incontrare delle persone che hanno creduto in me e mi hanno spinto a studiare, insegnanti che mi si sono avvicinati senza il pregiudizio del mostro, del disadattato, che mi hanno dato fiducia e mi hanno restituito un’autostima che io non credevo di avere: la maestra delle elementari, una professoressa alle superiori, magari regalandomi l’immagine della rosa profumata cresciuta nel giardino selvaggio. Io poi desideravo la fiducia di qualcuno, non volevo deludere quelli che mi avevano guardato senza pregiudizio, accettandomi così com’ero. Ricordo che rimanevo affascinato dai grandi discorsi dei professori di letteratura, sono stati quelli gli stimoli più forti: un professore che crede in quello che fa, che non si spaventa di fronte alle parolacce, che ti mette soggezione a tal punto che tu non riesci più a sputargli in faccia, è un professore che ti incoraggia a studiare.
Poi, ecco, ci sono stati anche altri professori che non mi hanno né stimolato né rispettato, insegnanti che sentivo che non erano a scuola per noi, che magari portavano i bigliettini durante la campagna elettorale, ma che non mi hanno mai dato niente, anzi, sono quelli che si sono presi le sedie in faccia.
I professori di italiano invece li ricordo tutti perché mi sono sempre appassionato alle materie umanistiche, già da bambino infatti leggevo molto. Sentivo che là c’era il calore dei sentimenti, dei valori, là c’erano le emozioni; era quella la cultura che mi interessava, la strada attraverso cui poter fare delle cose. Sentivo di avere un pensiero che poteva andare fuori…

A Barra purtroppo sono pochi quelli che continuano gli studi. Io di solito definisco questi quartieri, il mio in particolare, come quartieri bocciati dalla scuola. Mi trovo spesso ad osservare questi ragazzi che hanno interrotto gli studi: a 18-20 anni stanno tutto il giorno al bar a rompersi la testa; chiusi nel gruppo, nel quartiere, attaccati alla motocicletta o alle scarpe della Nike, e non raggiungono nemmeno la licenza media. Non si interessano al futuro e restano in uno stato di degrado culturale, dove più facilmente si sviluppano modelli sottoculturali, e mi riferisco all’influenza del sistema camorristico, che gode di rispetto e di stima, a quella mentalità che fa sì che questi ragazzi siano attratti dall’illegalità. E’ come se trovassero in questo modello l’unico modo per essere, per esprimere se stessi. E’ come se non volessero niente da nessuno perché nessuno gli ha dato mai ...[continua]

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