In questo periodo stai riflettendo sul tema dell’educazione. Puoi parlarne?
Nell’ambito del progetto Chance insistiamo molto sull’educazione. D’altra parte non siamo i soli, chi si occupa di formazione professionale insiste sempre molto sul fatto che bisogna formare prima l’uomo, poi il cittadino e poi il lavoratore. Alla fine quello che conta sono sicuramente le competenze specifiche, ma ancor di più che tipo di persona e di cittadino sei. Questo noi l’abbiamo imparato anche a nostre spese perché abbiamo visto che ragazzi abbastanza formati sotto il profilo tecnico talvolta restano inaffidabili sotto il profilo personale. Quindi non partiamo da un problema ideologico, ma estremamente pratico. Infatti, nel giro di un anno in genere riusciamo abbastanza a recuperare delle difficoltà relative alle nozioni e anche alle competenze pratiche, ma abbiamo difficoltà a recuperare sul piano del comportamento. Questo ci ha costretto a fare una riflessione su che cos’è l’educazione.
Allora, intanto noi sappiamo che esiste una figura professionale che si chiama “educatore”, che purtroppo è tradizionalmente associato a strutture totali, quindi collegi, carceri… Noi oggi abbiamo più la figura dell’educatore nel territorio. A noi piace chiamarlo “educatore” perché è il termine giusto, però ho visto che a Bologna lo chiamano “accompagnatore sociale” che è ugualmente giusto perché l’educatore in fondo è soprattutto una persona che accompagna i giovani nei processi di sviluppo, non è uno che educa l’altro. Io sostengo sempre che il verbo educare si può coniugare solo nella forma riflessiva dell’educarsi. So però che questa è anche una foglia di fico su un termine che non piace, perché il fascismo parlava di “educazione nazionale”, perché, come dicevo, l’educatore è nelle carceri e nei collegi. Poi però si fa un gran parlare di figure di educatori, quindi a posteriori a qualcuno l’attributo si dà. Certamente in ambiente cattolico ci sono i vari “don” che hanno questa qualifica; in ambito laico c’è Baden Powell (io non sono particolarmente appassionato del personaggio) o un signore come Makarenko…
Insomma, sembra che questa sia un’attività necessaria per chi sta “fuori linea”, abbandonato, ecc. Le definizioni di educatore spesso mutuano alcuni concetti dall’ambiente anglosassone (empowerment, coping, ecc.) ma tutte mettono in luce il fatto che non basta che tu sappia come e quando si fa una cosa, è necessario un processo di attivazione delle proprie risorse. Ecco allora che per noi il processo educativo è, in primo luogo, prendere coscienza delle proprie risorse. Questa pare una banalità, ma in realtà uno dei problemi principali coi nostri ragazzi è che non sono sufficientemente consapevoli delle proprie possibilità e non sono neppure sicuri delle piccole conquiste che comunque fanno a scuola. La vera sfida poi è imparare ad attivare queste abilità al momento giusto. Tra le cose più importanti c’è la capacità di fronteggiare le frustrazioni. Perché i nostri ragazzi sono inaffidabili? Perché alla prima difficoltà si fermano, non hanno la forza di riattivarsi. Se fanno un’esperienza frustrante, chiudono completamente con la possibilità di muoversi in quel settore. E reagiscono in modo aggressivo, scomposto, ecc., le caratteristiche del tipico personaggio avventato, irascibile, inaffidabile e che tende a risolvere ogni contraddizione con la violenza. Molti degli elementi della personalità autoritaria nascono qui. Etnocentrismo, sessismo, ecc., sono tutte forme di aggressività preventiva nei confronti di ciò che non si riesce a gestire e a tenere sotto controllo, perché in realtà non si ha sotto controllo se stessi.
Quindi educazione per noi significa far sì che il ragazzo acquisisca la consapevolezza delle proprie risorse e la capacità di gestire le frustrazioni e le avversità. Insomma, questo è un discorso molto pratico: se io ho i mezzi per affrontare le cose in modo costruttivo agisco appunto in modo costruttivo, sennò lo faccio in modo distruttivo, fine. Per noi educazione significa questo: avere i mezzi per tirarsi fuori dallo stato di cose esistente.
Io poi insisto sempre su una cosa: l’educazione è per sé, non è per la nazione, per l’industria, per i valori laici o cattolici.
Tradizionalmente l’educazione è sempre stat ...[continua]
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