Abbiamo incontrato il dott. Luciano Caro a Ferrara, negli uffici della Comunità Ebraica, di cui è Rabbino Capo. Ha partecipato all'intervista anche  il prof. Germano Salvatorelli, medico, ferrarese, esperto di problemi di bioetica.

Caro:  premetto che non sono un esperto nella materia, sono un rabbino, e questo è un campo vastissimo, coinvol­gente, pericoloso ed anche relativamente recente. Non esiste una posizione univoca da parte dell’ebraismo. Anche noi ci stiamo dibattendo su questi problemi. E d’altra parte va anche detto che l’ebraismo non è un sistema piramidale, con un pontefice o un’istituzione che dica “questa è la norma”. L’ebraismo lascia un amplissimo margine di interpreta­zione. Nulla vieta, quindi, che nel campo ebraico tradizionale si possa dare una risposta diversa dalla mia. Forse la cosa più seria è non dare delle risposte, ma porre dei principi generali che ci guidino nella soluzione dei singoli pro­blemi.
Per esempio, nei confronti dei trapianti il principio generale è che non abbiamo assolutamente il diritto di interrom­pere la vita umana a nessun livello. Dal punto di vista ebraico, possiamo dichiarare giuridicamente morto un essere umano quando documentatamente cessano tutte le sue funzioni, in particolare quella respiratoria e quella cardiaca, do­podiché si può eventualmente servirsi di parti del suo corpo per uno scopo nobile. Senza queste condizioni non si può fare il trapianto perché, anche se il suo encefalogramma è piatto, per noi è un essere vivo e anche se le sue prospettive di vita dovessero essere solo di un decimo di secondo o di una vita del tutto vegetale, chiunque manipolasse questo si­gnore commetterebbe nientemeno che un omicidio. Detto questo abbiamo già detto molto perché quasi tutti i trapianti oggi sono fatti prelevando organi da persone che secondo questi criteri sono ancora vive. L’unica cosa su cui non c’è discussione è la cornea, perché può essere prelevata anche dopo un certo periodo di tempo dopo la morte.
Non solo, ma abbiamo dei grossi dubbi se si possa fare il trapianto anche dal punto di vista del ricevente. Sottoporsi ad una operazione di trapianto, soprattutto quelli del cuore, del fegato, eccetera, comporta dei rischi. E il ricevente ha il diritto di sottoporre se stesso ad un rischio di morte, quando le prospettive di sopravvivenza sono al di sotto di una certa percentuale ragionevole? Di fatto, se la cosa fallisce non è che si dice “beh, è andata male”, quello è morto.
Poi c’è il caso del trapianto tra donatore vivo e ricevente malato. Io sano posso donare una parte del mio corpo per gu­arire un altro? Anche qui ci sono dei grossi dubbi: io posso disporre del mio corpo? Regalo una cosa mia o no? Ho il diritto, diritto giuridico, di sottopormi ad un rischio anche se le motivazioni che mi guidano sono di un altruismo ec­cezionale? Il corpo è mio, ne faccio quel che mi pare, oppure non posso? Un uomo ha il diritto di mettere a repenta­glio in qualche modo la propria esistenza? La problematica cadrebbe del tutto ove i medici ci dicessero che la cosa non presenta rischi particolari.
Ora, quando secondo noi queste cose non sono permesse, tutti coloro che compiono queste cose sono colpevoli: il do­natore, anche se prima di morire ha lasciato detto che era disponibile, il ricevente, l’operatore e tutte quelle persone, infermieri, che, direttamente o indirettamente, hanno aiutato a compiere questa cosa.
Ma perché non posso disporre del mio corpo?
Caro: Perché non è una cosa mia, è una cosa che mi è stata affidata. Non ho chiesto io di venire al mondo, la vita è qualcosa che mi è stata data, ma non è una cosa mia. L’unico dovere primario che io ho è quello di conservare questa vita e la mia salute fisica più che posso. Faccio un esempio: un tale che si sia ammalato e non si voglia curare con­travviene a un principio fondamentale dell’ebraismo. “Io non voglio curarmi, sono fatti miei”. No, non sono fatti tuoi.
Vi sto dicendo dei principi, non delle risposte pratiche. Se da me viene un padre con un figlio che sta per morire a cui vuol donare un rene e mi chiede cosa deve fare, non posso subito dire “daglielo”. Bisogna calcolare i rischi del dona­tore, ma anche del ricevente, parlarne con i medici...
E abbiamo il diritto di decidere se qualcuno deve vivere di più o di meno? Il fatto è che stiamo manipolando una mate­ria che ci può sfuggire facilmente dalle mani perché ci mette nelle condizioni di giudicare delle cose che non possiamo ...[continua]

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