Colloquio con Mandiaye N’Diaye, attore senegalese del Teatro delle Albe di Ravenna. L’intervista è tratta da Saltatori di muri, di Franco Lorenzoni e Marco Martinelli, in uscita in queste settimane per la Macro Edizioni, Cesena.

Mandiaye, tu vivi in Italia da quasi dieci anni, fai un lavoro che ti piace e ti ha permesso di scoprire molte tue qualità. Come è successo tutto questo?
Ci possono essere obiettivi vari in un viaggio, ma il viaggio di un immigrato senegalese non può essere programmato: è una partenza, un seguire un destino.
Quando la mia famiglia e i miei maestri avevano deciso di farmi partire avevo vent’anni e ognuno tentava di mettere delle radici nel mio cervello. Prima della partenza, ogni parente chiamava i suoi marabù, ossia le persone di fiducia, gli stregoni, per vedere cosa poteva succedere nel futuro del viaggio, cosa poteva togliere in me di ciò che avevano messo dentro le mie religioni: l’animismo e l’islamismo. Il maestro di Corano, che era mio zio, diceva: “Non dimenticarti mai di pregare cinque volte al giorno, non bere il vino, non mangiare carne di maiale”. Invece mio padre, che mi aveva insegnato la religione animista, si preoccupava e mi diceva: “Non dimenticare la famiglia, non dimenticare gli antenati, non imparare un’altra cultura e perdere la tua. Credi nella tua pelle, credi di essere te stesso, non dimenticare che sei nato qui, povero; non guardare solo la ricchezza, per poi dimenticare tutto questo, non dimenticare il tuo popolo e sappi che sei la speranza della famiglia, che tu ci puoi aiutare ad essere liberi”.
Gli stregoni chiedevano altre cose: si domandavano dov’è la ricchezza per farmi arrivare dov’è il dio dell’oro . La decisione finale di tutti coloro che avevano letto il futuro del mio viaggio era l’Italia, dove c’era un mio zio.
L’immagine che avevo, prima di partire, era di arrivare in Italia, trovare questo dio, cioè la ricchezza, e rientrare subito per soddisfare tutte le persone che si aspettavano da me il ritrovamento della ricchezza. Ma quando sono arrivato sono rimasto molto deluso.
Mio zio è famoso a Rimini. Arrivato dove viveva io osservavo tutto con i miei occhi, e aspettavo la sera, l’ora di andare a letto. Eravamo più di dodici in casa, tutti uomini, e mi chiedevo: “Come potremo dormire in una stanza così?”. All’ora di andare a letto vedo che tirano fuori tutti i materassi da mettere per terra. Questo subito mi ha fatto ritornare in Senegal, mi ha fatto pensare ai guineiani che vengono da noi a lavorare e che, per risparmiare, dormono tutti in una stanza. In Senegal io li guardavo senza pietà, pensavo che fossero avari...
Ho sofferto tanto quando mi hanno messo una stoffa sulle piastrelle dicendomi di dormire lì. La notte vedevo la mia casa, vedevo il Senegal, sentivo le ultime parole di raccomandazione: “Non dimenticarci... Quando hai la possibilità, mandaci i soldi... Noi abbiamo bisogno soprattutto di questo, aiutaci!”. Già da quella notte scoprivo che non era facile.
Quando, al mattino, lo zio mi ha detto che il lavoro era vendere orologi e accendini, io ho cominciato a piangere forte, forte, perché ho detto: qua c’è da soffrire e nient’altro.
Poi, pensando di nuovo alle raccomandazioni, alle ultime facce dei miei fratellini, ho detto: “Devo sacrificarmi; devo diventare un Maometto o un Gesù Cristo...”. Questo mi ha dato il coraggio di andare in spiaggia a vendere. Ma, entrando nella spiaggia, di nuovo mi cambiava tutta la vita perché, avendo vissuto la vita musulmana, con tutto quello che si insegna sul rispetto del proprio corpo, vedere nella spiaggia donne, uomini, bambini e anziani tutti nudi (perché per me erano nudi) mi si spezzava il cuore, non riuscivo a trovare il coraggio di andare vicino ad uno così nudo e dirgli: “Compri un orologio?” Non ce la facevo, mi sentivo due volte male.
Allora cosa hai fatto?
Per me, la cosa più importante era scrivere una lettera ogni giorno.
Scrivevo a tutti gli amici che avevo e a mio padre, soprattutto, che per una settimana non aveva dormito e mangiato, quando dovevo partire. Ogni volta che mi salutava piangeva. Piangeva e diceva: “Non tornerai più, so che quelli ti mangeranno, sono cannibali...” E io sentivo nella notte che pregava.
Lui è musulmano, però conserva le radici dell’animismo. Il sogno è molto importante per mio padre. Lui pratica la religione del sogno, che è divino per lui, quindi non può essere un puro musulm ...[continua]

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