Iniziamo intanto a spiegare un po’ cos’è questo libro e anche il perché l’avete fatto.
Guarda, il libro nasce da una constatazione, dal fatto che negli ultimi anni è stata proposta, rispetto alle vittime degli anni Settanta, una pubblicistica parziale. Sono state ricordate le vittime del terrorismo, dall’altra parte si sono valorizzate le memorie degli ex terroristi, ma in questo modo ne è venuta fuori una ricostruzione sicuramente monca. Quindi, premettendo che noi non volevamo contrapporre morti a morti, che ogni vittima di quegli anni, come tutte le vittime in generale, meritano rispetto e pietas, abbiamo ritenuto opportuno far uscire dall’oblio le storie dimenticate di giovani militanti morti per ordine pubblico, uccisi, cioè, dalle forze dell’ordine, o dai neo-fascisti di allora. Abbiamo stilato un elenco, purtroppo assai lungo, e poi avviato una serie di contatti con familiari e amici di questi giovani, per provare a raccontare le loro storie. Va detto che abbiamo incontrato enormi difficoltà a rintracciare le persone o abbiamo ricevuto, in alcuni casi, un gentile ma fermo diniego, così alla fine abbiamo focalizzato l’attenzione su dieci storie. Questo un po’ il progetto del libro, che, voglio dirlo, è nato anche dall’incontro fra due persone che appartengono a generazioni diverse, io e Francesco. Lui è del ’65, quindi molto più giovane di me, e non ha vissuto quegli anni, e però dal 2001 cura un sito che si chiama “reti invisibili”, dedicato appunto alla memoria storica, e nato da un progetto di Haidi Giuliani, che Francesco ha conosciuto dopo i fatti di Genova. Questo sito parte da Portella delle Ginestre e arriva fino a Carlo Giuliani.
Tra le interviste viene da citare subito quella a Licia Pinelli perché in questi anni è stata sempre molto restia a parlare…
Sì, diciamo che intanto non è stato facile convincere queste persone a parlare, anche perché, essendo storie molto drammatiche, si va a toccare la loro sensibilità. Erano anni e anni che Licia Pinelli non rilasciava interviste, ne aveva rilasciata una nell’82, se non vado errato, a Pino Scaramucci, poi ho scoperto che in tempi più recenti c’era stata una breve intervista di Giuseppe D’Avanzo sul sito di Repubblica ma si può dire che un’intervista così articolata, a tutto tondo, erano moltissimi anni che non la rilasciava. Ora, visto che comunque, volenti o nolenti, il 12 dicembre e piazza Fontana e la vicenda di Pinelli sono un riferimento obbligato se si vuol parlare di quegli anni, è chiaro che l’intervista a Licia, che apre il libro, è quella simbolicamente più forte. Però anche le altre interviste mi sembrano valide perché, raffigurando le personalità e le storie di quei giovani, essendo delle minibiografie, sono anche delle microstorie sociali. Voglio dire, però, che se abbiamo cercato di far emergere anche l’Italia di allora, non è certo per fare una stupida apologia di quegli anni. Per quanto mi riguarda se da una parte sono critico per un’interpretazione unilaterale che definisce quegli anni solamente come “anni di piombo”, così, dall’altra, rifiuto una visione apologetica alla Mario Capanna, del tipo “formidabili quegli anni”. Quegli anni furono formidabili, certo, ma duri, complessi, articolati; sarebbe stupido e superficiale etichettarli in un modo o nell’altro.
Quello che noi abbiamo cercato di evidenziare è però che soprattutto nella prima metà degli anni ’70 il Paese ha vissuto dei fermenti sociali che hanno contribuito almeno per un certo periodo a migliorare i suoi spazi di democrazia, di crescita civica. In questi casi si ricorda sempre lo statuto dei lavoratori o il referendum sul divorzio, che sono state battaglie importanti. Quindi nelle nostre interviste abbiamo provato a far emergere questo aspetto. Un altro aspetto è che si raccontano sempre città diverse, la Pinelli parla di Milano, poi c’è Roma, Parma, Pisa, Torino. Mi piace anche ricordare l’intervista a Daria Basso che racconta della Falchera, quartiere operaio di Torino, di Gabriele Giunchi che racconta la Bologna del 77, e così anche su Roma ci sono delle testimonianze importanti. Diciamo che viene fuori un quadro sociale, culturale, politico, di quegli anni che a noi sembra non ba ...[continua]
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