Andrea Pancaldi è giornalista ed esperto di documentazione sociale. Vive a Bologna e lavora per il settore Sociale-Salute del Comune di Bologna. Collabora con numerose riviste, centri di documentazione, enti non profit, amministrazioni pubbliche come consulente su progetti informativi e di documentazione.

Nel panorama della comunicazione sociale, le tematiche del disagio sono cresciute negli ultimi dieci-quindici anni in forme diverse e spesso contraddittorie. Nel tuo specifico settore di attività, come hai sviluppato nel tempo la diffusione dei temi relativi a questo ambito?
Una prima riflessione è dedicata alla “nascita” dell’informazione sociale, che ovviamente per certi versi è sempre esistita, ma che così come la intendiamo noi, ovvero non un accessorio di altro, ma una dimensione con una sua precisa e specifica identità, direi che dobbiamo andare indietro nel tempo non di quindici ma di venticinque anni, ovvero alla nascita nel 1981 di Aspe, l’agenzia di stampa sui problemi dell’emarginazione, curata dal Gruppo Abele di Torino che già all’epoca recitava nel sottotitolo “disagio, pace, ambiente”. Un sottotitolo largamente anticipatorio per quel tempo.
Lasciando questa digressione storica ed entrando nel vivo delle domanda, nel mio percorso all’interno di questo ambito, credo di aver beneficiato di condizioni particolarmente favorevoli, un po’ per contingenze un po’ forse per scelte rivelatesi fortunate. Io ho osservato e praticato l’informazione sociale sempre da zone di confine: tra la cultura cattolica e quella della sinistra; tra la stagione dei servizi territoriali e quella della crisi del modello attuale di welfare (passaggio anni ‘80-90); tra la cultura degli enti locali e quella del volontariato praticata da metà degli anni ‘70 nella Bologna della buona amministrazione e dei servizi fino a giungere alla ricca stagione (91-95) di sviluppo dei temi del volontariato e del terzo settore all’interno del periodo più acuto della crisi della rappresentanza; tra la cultura sanitaria (cui fa riferimento la mia formazione essendo laureato in Fisioterapia), e quella sociale del mondo in cui vivo ed opero; tra mondo socio-sanitario, il mio lavoro e la mia formazione, e mondo dell’informazione (ho pur sempre in tasca una tessera dell’Ordine dei giornalisti).
I confini, e questo è il loro bello, separano ma connettono al tempo stesso, e nella mia esperienza forse questo mi ha permesso di tenere in equilibrio i due termini della questione, appunto “informazione” e “sociale”.
Il tutto per dire che i percorsi personali, voluti e subiti, influenzano sempre le esperienze.
Le mie esperienze di lavoro sono state fondamentalmente tre: quella presso il Centro documentazione handicap di Bologna, tra il 1981 e il 2004, quella presso il Settore servizi sociali del Comune di Bologna dal 2004 ad ora e quella relativa al lavoro di consulenza svolto per varie realtà pubbliche e private.
Cerco di essere sintetico, di andare per punti e di citare solo le priorità.
Ora, la prima riflessione è relativa al fatto di aver tenuto sempre alle spalle del lavoro informativo una articolata attività legata alla documentazione sociale, il che vuol dire conoscere e frequentare decine di riviste, case editrici, collane di libri, siti web, centri di documentazione, newsletter, per arrivare alle tante tipologie di stampa quotidiana e ai diversi approcci ai temi sociali (stampa cattolica/laica; nazionale/locale; settentrionale/meridionale: di destra/di sinistra, ecc.). Oltre che scrivere ho fatto per anni anche il bibliotecario-documentalista e questo mi è servito molto per avere presente che esiste sempre un contesto alle spalle delle notizie; che esiste sempre una storia unica e irripetibile, alle spalle di ogni protagonista.
La seconda riflessione è sull’aver cercato di tenere insieme i temi specifici e le questioni di sfondo, di alternare primi piani e campi lunghi. Io vengo dal mondo della disabilità e quindi, ad esempio, parlare degli aspetti psicologici della disabilità per me vuol dire anche tener conto, sullo sfondo, dei temi della morte, della malattia, della sofferenza, così come sono declinati nelle varie culture.
La terza è sul tema del linguaggio e della sua gestione, così centrale ad esempio nel lavoro documentativo. Leggere e catalogare il materiale di documentazione, che ovviamente viene da fonti diverse, frequentare per volontariato e lavoro gli operatori, i famigliari, le persone disabili, mi ha permes ...[continua]

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