Massimo Dal Bianco, medico chirurgo, è direttore dell’Unità Operativa di Urologia dell’Ospedale Sant’Antonio a Padova e docente alla Scuola di Specializzazione di Urologia dell’Università di Padova.

Che cos’è "Padova Ospitale”?
È un’associazione che opera da più di 15 anni, da quando un gruppo di medici e non medici afferenti all’area padovana iniziarono a occuparsi di volontariato sanitario nei Paesi in via di sviluppo. Per coordinare e semplificare alcuni aspetti burocratici inerenti alle attività di volontariato all’estero abbiamo dato vita ad una fondazione che si chiama "Help for life”. Quello di cui mi sono occupato in particolar modo è la ­realtà della Sierra Leone, paese agli ultimi posti nella classifica dei paesi sviluppati, quindi tra i più poveri al mondo, con un tasso, per esempio, di mortalità entro i cinque anni d’età di 250 bambini su mille nati, e una mortalità da parto che, secondo le ultime stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità, registra 2.020 madri morte da parto su 100.000 bambini nati. In Italia muoiono di parto 13 donne su 100.000 bambini nati vivi; è il paese dove, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità nel 2010, muoiono meno madri di parto al mondo.
In questa realtà alcuni missionari della congregazione dei Padri Giuseppini del Murialdo  che operano nella Sierra Leone hanno richiesto ai Membri della Fondazione Help for Life di coordinare delle missioni mediche in un Ospedale della Sierra Leone situato nella città di Lunsar, un centro a circa tre ore di fuori-strada dalla capitale, Freetown.
Quindi ci siamo impegnati a dare un aiuto in termini di risorse umane con personale medico e paramedico padovano che potesse recarsi in Africa. Giova ricordare che la Sierra Leone è stata vittima per dieci anni di una disastrosa guerra civile, cessata nel dicembre del 2001; da allora sta lentissimamente tornando alla normalità, ma con delle difficoltà notevolissime.
Ho visto che siete intervenuti a favore di un villaggio che si chiama Masimera. È stato coinvolto nella rivoluzione?
Certamente. Sono stati dieci anni di guerra civile, cioè guerra tra etnie, tra popolazioni all’interno della Sierra Leone, con due fenomeni che hanno avuto un’eco sui mass-media mondiali: il primo quello dei bambini soldato. Parlo di ragazzini di sette-otto anni, spesso drogati, che venivano armati e fatti combattere contro i villaggi, alle volte anche contro i loro familiari. Il secondo è stato un aspetto altrettanto preoccupante, quello degli amputati.
I ribelli, drogati pure essi, o ubriachi quindi forse non capaci nell’agire di intendere e di volere, quando entravano nei villaggi, prendevano i bambini e qualche volta dei giovani adulti e, commettendo sevizie atroci, tagliavano un braccio, una mano, qualche volta anche due mani, un piede, o bruciavano un occhio. Le conseguenze della guerra dureranno pertanto per la vita di un’intera generazione.
Perché? Era un rituale locale?
No. Su certe persone adulte veniva applicata la violenza dell’amputazione per non farle votare. In Africa, per analfabetismo, si vota premendo il pollice intinto nell’inchiostro come segno di riconoscimento, come firma.
Alla fine, nel 2001, c’è stata la pace, pace voluta soprattutto dall’Inghilterra e dalla Francia che gestivano in competizione le risorse della Sierra Leone: diamanti, metalli preziosi, rutilio che viene utilizzato nell’informatica e nell’industria della  telefonia mobile. Inoltre, affacciandosi sul golfo di Guinea, la Sierra Leone era importante anche dal punto di vista strategico. I cosiddetti ribelli erano più forti nel nord del Paese, al confine con la Liberia. Erano di etnia diversa, ma sostanzialmente sponsorizzavano un Presidente piuttosto che un altro, indipendentemente dall’etnia stessa.
Veniamo al vostro aiuto sanitario.
Siamo andati in Sierra Leone a cominciare dal 2004 -quindi a tre anni dalla fine del conflitto. La Fondazione Help for Life ha iniziato un progetto comprendente l’invio di quattro missioni mediche (composte da anestesista, chirurgo Generale, cinecologo, urologo e personale infermieristico di sala operatoria). Queste Missioni durano tuttora e permettono non solo di aiutare l’unico medico residente nell’Ospedale di Lunsar, ma anche di operare i casi più difficili oltreché fare un minimo di formazione al personale infermieristico locale.
Accanto a questo progetto di cooperazione sanitaria, su consiglio dei missionari, abbiamo avviato un progetto sociale denominato ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!