Il 28 febbraio Papa Benedetto XVI ha lasciato il pontificato. Cosa c’è in questo gesto?
In questo gesto c’è un momento di difficoltà e di grande coraggio. Dopo un lungo pontificato come quello di Wojtyla, forse ci eravamo illusi di poter affrontare i problemi presenti nella Chiesa e non affrontati da Wojtyla anche a causa della sua malattia. Si pensava che il futuro Papa potesse prendere di petto molte situazioni, e di fatto lo ha fatto: la situazione dei Legionari di Cristo, del loro fondatore, la pedofilia, la questione economica del Vaticano, la situazione delle diocesi e così via. Però i problemi sono tanti e dentro il Vaticano non c’era un’unica linea rispetto alle soluzioni che il Papa stesso ha voluto portare avanti. Ad esempio, in merito alla pedofilia, alcuni pensavano fosse preferibile fare come si faceva nel passato: non dico nascondere, ma obliare, tacere, far cadere le cose... Invece Ratzinger aveva un’altra linea, di trasparenza, di apertura, di denuncia. In merito a queste posizioni io credo che il Papa abbia speso molte energie, non solo fisiche, ma anche psicologiche.
Che effetti avranno le dimissioni?
Gli effetti di queste dimissioni si stanno già vedendo. Intanto nessuno era abituato a una dimissione del pontefice. Dando le dimissioni, il Papa ha detto: "Il re è nudo”. Non si può quindi pensare di offrire delle risposte tattiche alle questioni che interrogano la Chiesa dall’interno.
Ratzinger ha tentato di dare delle risposte; alcune risposte sono state messe in pratica, hanno dato il loro frutto, ma dobbiamo ancora capire quale sarà l’esito.
Oggi mi pare che la reazione sia una grande domanda, un grande interrogativo. Se Ratzinger, dando le dimissioni, dice che i problemi sono di una tale portata per cui occorre un uomo santo, un uomo forte, un uomo che sa di governo, un uomo intelligente; ebbene, se servono tutte queste virtù, vien da chiedersi se veramente il futuro Papa può affrontare una sfida così grande. Ecco allora che molti cardinali pensano: "No, non basta un uomo solo al potere, ci vuole una collegialità, ci vuole una condivisione più allargata”.
Quindi lei crede che ci possa essere un ripensamento del ministero pietrino...
Già nel documento "Ut unum sint”, Wojtyla stesso si era reso conto, dopo tanti anni di pontificato, che si doveva ripensare il ruolo del Papa, la sua funzione. Tuttavia la pietra da lui gettata nello stagno non era stata raccolta da nessuno, così siamo andati avanti con il modello ereditato dagli ultimi due secoli.
Oggi le dimissioni di Ratzinger dicono: "No, questo modello non funziona più”. Di nuovo, la domanda è: saremo capaci di elaborare una collegialità differente, plurale, in grado di prestare ascolto alle voci, arrivando a un consenso, senza scadere in una democrazia? Attenzione, dico "scadere” non perché la democrazia non sia bella, ma perché la Chiesa non può funzionare con dei partiti contrapposti, come se fosse un parlamento. La Chiesa non è questo. Ecco, saremo capaci di elaborare questa collegialità dove le voci plurali possano essere ascoltate facendo emergere un consenso maggioritario dentro la Chiesa? Questa è la grande domanda che abbiamo davanti.
Anche perché il corpo ecclesiale è composito, è un corpo ormai diffuso in tutti i cinque continenti, che deve fare i conti con le diverse culture, con le diverse emergenze sociali, economiche, con le diverse sensibilità culturali presenti nelle diverse parti del mondo.
Il Papa dovrebbe diventare un direttore d’orchestra capace di far suonare tutti gli strumenti, di far suonare una musica, che è la musica della parola di Dio, della tradizione, ma che è capace anche di far venir fuori delle note nuove, rispondenti alle domande di oggi, che sono anche le domande dei laici.
Abbiamo assistito a una perdita di credibilità da parte della Chiesa Cattolica?
C’è stata una perdita di credibilità. Dopo il Concilio c’era stata una grande credibilità: la Chiesa che serviva i poveri, la Chiesa missionaria, la Chiesa impegnata anche nel confronto culturale. Purtroppo, gli episodi di pedofilia hanno provocato, in certe società, in certe conferenze episcopali, in certe nazioni, problemi molto seri legati alla credibilità. Poi anche la gestione dello Ior, con questo alone attorno che dà l’impressione di una mancanza di trasparenza -non è vero, però può apparire così... Io credo che oggi dobbiamo ri ...[continua]
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