Puoi raccontarci cos’è l’Hotel House e qual è la sua storia?
L’Hotel House è un enorme condominio di diciassette piani che ospita 480 appartamenti, situato a sud di Porto Recanati, nel sud delle Marche. Io ne ho scoperto l’esistenza all’epoca in cui lavoravo all’Università di Urbino. Stavo conducendo una ricerca sull’immigrazione nei comuni marchigiani. Porto Recanati è il comune con la percentuale di immigrati più alta, all’epoca era addirittura il terzo in Italia. La cosa che mi aveva stupito subito, girando per la città, è che non vedevo nessun immigrato. Eppure dalle statistiche sapevo che ce n’erano parecchi. Così ho chiesto agli uffici: "Ma dove sono?”. Mi è stato risposto: "Sono tutti là”. Si vedeva all’orizzonte questo palazzo. Immagina che Porto Recanati è una città di 10.000 abitanti con tutte casette di due, tre piani. Questo palazzone spicca proprio anche perché è staccato dalla città, vicino alla zona industriale, al campo sportivo.
Mi era rimasta la curiosità di approfondire, così quando, qualche anno dopo, si è presentata l’occasione. Ho deciso di fare un lavoro etnografico, cioè vivendo lì e facendo osservazione partecipata, insomma partecipando alla vita quotidiana.
L’Hotel House nasce alla fine degli anni Sessanta, nell’Italia del boom economico: un paese che sogna, che ha fiducia nel futuro, che ha voglia di costruire, forse anche di esagerare. Siamo nella Riviera adriatica, sta iniziando il turismo di massa, "casualmente” verrà costruita l’autostrada con l’ingresso lì vicino. È anche un progetto che ha una sua serietà, non è la classica speculazione mordi e fuggi. Gli appartamenti, di 60 mq, sono ben studiati, c’è una logica, anche la disposizione al sole, al vento... è un progetto che ha una sua dignità. Però è totalmente fuori scala sotto tutti i punti di vista. Già l’idea di mettere 2.000 abitanti in un palazzo in una città che ne ha 10.000... Un palazzo di 17 piani in una città che ha tutt’altre logiche insediative. E poi, forse l’aspetto più grave, l’idea di costruire una città autosufficiente. Dall’inizio quel luogo è stato pensato in modo autarchico: doveva bastare a se stesso. Per certi versi è stata la sua forza, perché a piano terra erano previsti tutta una serie di servizi, però quando è diventato un luogo di immigrazione, questa separazione fisica netta dalla città, l’ha reso un luogo ideale di stigmatizzazione, emarginazione, in ambo i versi. Perché c’è anche uno stigma reattivo degli abitanti dell’Hotel House verso Porto Recanati, questa città che non li riconosce come cittadini.
All’inizio comunque l’Hotel House nasce come luogo di vacanza. Il progetto prevedeva questo palazzone e poi nel circondario campi da golf, da tennis, una sauna. Servizi dedicati a un turismo non dico ricco, ma di ceto medio. Invece, come spesso è successo in questi casi, è stato ultimato il palazzo, ma tutto il resto non è mai stato costruito. Pensa solo che non aveva parcheggi. Comunque, alla fine, la ditta fallisce e il costruttore si suicida.
Nonostante questo, per tanti anni l’Hotel House diventa veramente un luogo di vacanza. I numeri non sono precisi, però parliamo di tre-quattrocento vacanzieri che tutte le estati soggiornavano qui in appartamenti perlopiù di proprietà. È anche questa una caratteristica dell’Hotel House: è sempre stato un luogo dove chi lo ha abitato spesso era proprietario. All’epoca, quasi tutti i vacanzieri, ma poi anche gli immigrati, una volta ricongiunte le famiglie, hanno comprato l’appartamento. Per gli immigrati questo è stato reso possibile anche dalla fuga degli italiani a cui è corrisposta una svalutazione dell’immobile. Molti immigrati hanno comprato un appartamento di 60 mq con vista mare con 30.000 euro, anche grazie alla facile concessione di mutui.
L’Hotel House è stato attraversato da diverse popolazioni nel corso degli anni. Puoi raccontare?
L’Hotel House, oltre che luogo di villeggiatura, fin da subito è stato anche qualcos’altro. Considera che era un palazzo molto vuoto, in particolare d’inverno, ma anche d’estate non si è mai riempito. C’è sempre stato questo vuoto a disposizione. A disposizione di ...[continua]
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