Andrew Arato, docente di Teoria Politica alla New School di New York, ha pubblicato, tra l’altro, The Occupation of Iraq and the Difficult Transition from Dictatorship (2003) e, per la Columbia Press, Constitution Making Under Occupation: The Politics of Imposed Revolution in Iraq (2009).

Quello che è successo a Parigi ha più a che fare con il Medio Oriente che con le periferie europee. Vorremmo capire cosa sta succedendo, cosa è andato storto…
È interessante guardare a quello che è accaduto da entrambe le prospettive: la Francia e il Medio Oriente. La Francia è il classico esempio di paese laico, anche se la sua accezione della laicità è più repubblicana rispetto alla concezione liberale americana. Entrambe le accezioni del secolarismo sono state accusate da Talal Asad (professore di Antropologia al Graduate Center of the City University di New York) di essere forme occulte per imporre i valori occidentali (e, in ultima analisi, cristiani) sulla vita politica. Questa accusa mi sembra meno fondata per l’accezione statunitense di laicità, che tende a essere neutrale rispetto a una vasta pluralità di religioni; i francesi provengono invece da un’altra tradizione, nello specifico dalla contestazione di un’unica Chiesa; per la verità, anche se nel corso del diciannovesimo e ventesimo secolo quella religione è stata posta al di fuori della vita politica pubblica, alcuni compromessi sono stati fatti; penso a Napoleone con il primo "concordato” e ad altre iniziative. Questo per dire che la Francia è più "strutturalmente” cattolica degli Stati Uniti e quindi c’è effettivamente una sorta di iniquità nel modo di trattare le diverse religioni. Voglio dire che anche tentando di estromettere le religioni dalla vita pubblica, la Francia finisce per farlo in un modo asimmetrico. In un paese in cui negare l’Olocausto è proibito, c’è la possibilità di trattare un’altra religione in modo molto aggressivo. Questo atteggiamento ha portato alcune religioni a percepirsi come escluse e altre ad avere una sorta di "sicurezza di sé repubblicana”. Da questo punto di vista l’episodio di "Charlie Hebdo” è stato estremamente infausto. Io certo non sono per la limitazione della libertà di parola, neanche rispetto al negazionismo, credo però che la stessa redazione di "Charlie Hebdo” non fosse cosciente di star attaccando qualcuno con meno protezioni.
Detto questo, l’assassinio dei giornalisti è un fatto ignobile e sicuramente non possiamo far risalire le radici di quanto accaduto esclusivamente alla Francia. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a ripetuti atti di barbarie tra cui quello a "Charlie Hebdo” è stato solo un episodio: massacri di giornalisti, prigionieri di guerra dati alle fiamme, persone decapitate per motivi religiosi... Abbiamo davanti un nuovo tipo di barbarie di cui non si può certo incolpare la laicità francese o l’intervento militare francese; quello che è successo va contestualizzato nelle dinamiche in atto in Medio Oriente.
Tu hai studiato a fondo l’Iraq, in particolare il suo tentativo di uscire dalla dittatura.
L’Iraq non è l’unico posto dove l’Isis è presente, ma è senz’altro uno dei suoi crocevia. Purtroppo già nel 2009 avevo affermato che l’esclusione dei sunniti dal processo di transizione avrebbe avuto conseguenze disastrose. Quell’esclusione è rimasta una ferita aperta. All’epoca, con mia sorpresa, c’erano stati alcuni successi -l’arruolamento dei sunniti nella lotta contro Al Qaeda e la loro inclusione nel sistema politico sotto il governo del primo ministro Maliki- ma tutti quei risultati sono stati cancellati.
L’estromissione dei sunniti è proseguita, col risultato che quando forze più radicali e ben finanziate come l’Isis sono emerse, hanno ricevuto un considerevole sostegno da parte sunnita. All’origine dell’Isis non c’è quindi solo l’emergere di un fondamentalismo religioso impegnato a compiere atti di terrorismo, ma anche il senso di esclusione e discriminazione di una larga parte della popolazione.
La situazione siriana ha una storia indipendente e leggermente diversa, tuttavia non dobbiamo dimenticare che questi due paesi non sono del tutto isolati l’uno dall’altro; il loro confine è decisamente poroso; pertanto credo che la mobilitazione in Iraq abbia contribuito a dar vita a un fenomeno analogo in Siria, dove oltretutto le cose sono ancora più complesse. In Siria il governo è stato indebolito dall’opposizione di una costellazione internazionale e contestualmente dal tentativ ...[continua]

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