Andrew Arato, costituzionalista di origine ungherese, è Dorothy Hart Hirshon Professor in teoria politica e sociale presso il dipartimento di sociologia alla New School di New York.

A dispetto dell’enorme letteratura al riguardo, il populismo resta un termine molto ambiguo. Possiamo partire da una definizione?
La definizione è in effetti un primo problema. Il termine credo si possa far risalire al narodnicestvo, il movimento politico-culturale sviluppatosi in Russia nel Diciannovesimo secolo, noto appunto come populismo; un fenomeno che si è articolato in varie fasi, incluse esperienze di democrazia, di anarchismo, con anche periodi segnati dal ricorso all’arma del terrorismo.
E poi abbiamo la versione americana, che naturalmente non è mai stata terrorista, né mai veramente socialista, eccetto in una particolare versione che vede una sovrapposizione tra il partito socialista e quello populista americano.
Comunque la maggior parte dei populisti americani si appellavano alla costituzione americana, cosa che naturalmente in Russia non era possibile. La storia stessa di questa parola si rifà pertanto a due vicende molto differenti.
Detto questo, credo che l’attuale revival del termine, talvolta in chiave molto polemica, abbia fondamentalmente a che fare con l’avvento, specie a destra, ma non solo a destra, di istanze anti-elitarie. La discussione attualmente in corso quindi non fa riferimento al termine nelle sue accezioni originarie. A creare ulteriore confusione c’è il fatto che in questi anni infatti abbiamo visto emergere movimenti “populisti” molto diversi. Pensiamo a Podemos, da una parte, e ai Cinque stelle, dall’altra: entrambi sono stati definiti populisti, eppure sono molto differenti.
Quindi, la categoria resta molto problematica e viene usata in modo poco rigoroso.
Allora di cosa parliamo quando parliamo di populismo? Ai fini di una definizione, per me, uno dei caratteri salienti del populismo odierno è il suo potenziale autoritario e antidemocratico.
Forse la migliore trattazione teoretica del populismo in generale è quella del filosofo argentino Ernesto Laclau. Pur non  condividendo la sua analisi, direi che la sua è la definizione più articolata. Laclau individua alcune caratteristiche del fenomeno. Tra queste c’è innanzitutto l’appello al popolo e alla sovranità popolare, in polemica con le istituzioni della democrazia liberale. Qui la cosa interessante è che la parte della popolazione a cui ci si rivolge diventa l’intero, cioè il vero popolo. Non solo: questo popolo si costituisce in contrapposizione a qualcos’altro che diventa il suo “altro”. Come per Carl Schmitt, anche per Laclau la politica è antagonismo, quindi è basata sulla polarizzazione amico vs nemico; non a caso viene usato il termine “demonizzazione”: chi si oppone al vero popolo viene rappresentato tramite categorie estremamente negative.
Quindi abbiamo l’appello al popolo sovrano, la parte che diventa l’intero e il binomio amico/nemico. La quarta caratteristica, anch’essa frequente, è un rapporto plebiscitario e paternalistico, carismatico, tra il leader e il popolo. Di più: è il leader a incarnare il vero popolo (un partito sarebbe un’entità troppo eterogenea per comportarsi in modo univoco). Una leadership molto personalizzata è quindi un ingrediente importante. Va notato come già questa definizione escluderebbe i populismi americani e sovietici del diciannovesimo secolo, perché nessuno di essi aveva un unico leader.
Infine c’è l’idea che in gioco ci sia la rifondazione dell’ordine politico esistente, in altre parole, un’implicazione quasi rivoluzionaria. Questo particolare aspetto lo si vede per esempio nella retorica di Bernie Sanders, quando insiste nel parlare di una “rivoluzione” politica negli Stati Uniti. In alcuni casi si tratta evidentemente di una “rivoluzione senza rivoluzione”: da noi non esiste alcuna possibilità che emerga un movimento radicale contro l’ordine politico.
Questa è la cornice in cui, dal mio punto di vista, si può parlare di populismo.
Non sono un esperto di politica italiana, ma direi che in Italia la vostra sfortuna -o fortuna, dipende da come lo si vuole interpretare- è che avete due populismi, a destra quello di Salvini e della Lega, e poi quello dei Cinque Stelle, che è molto diverso.
Va ricordato che del populismo esistono varianti di destra e di sinistra. Cas Mudde ha ben spiegato questo aspetto: essendo il populismo un’ideologia “debole”, ha bisogno di ideologie “ospit ...[continua]

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