Zlatko Dizdarevic, bosniaco, giornalista e diplomatico nei Balcani e in Medio Oriente, durante la guerra in Bosnia è stato capo redattore di guerra di "Oslobodenje” (Liberazione), il quotidiano di Sarajevo che ha continuato a uscire nella città assediata e che nel 1993 ha vinto il premio Sakharov del Parlamento europeo. Negli anni 2000 è stato ambasciatore in Croazia e in Giordania con accreditamento in Libano, Iraq e Siria, e poi alto funzionario al Ministero degli esteri a Sarajevo. Ora, in pensione, ha ricominciato a scrivere e a partecipare alle attività di diverse organizzazioni europee e in Medio Oriente ed è membro dell’organizzazione regionale "Igmanska Inicijativa”. Tra i suoi libri usciti in italiano, Giornale di guerra-cronaca di Sarajevo assediata, Sellerio, 1994, Lettere da Sarajevo, Feltrinelli, 1998, L’Onu è morta a Sarajevo, insieme a Gigi Riva, Il Saggiatore, 1995, e il suo contributo a I signori della guerra, Garzanti 1999.

Come vede la situazione della Bosnia Erzegovina vent’anni dopo la pace di Dayton?
Qui in Bosnia ed Erzegovina (Bih) siamo in una situazione molto complessa e per varie ragioni. In primo luogo, per quanto riguarda la costituzione. In effetti, in base agli accordi di Dayton, la Bih è stata costruita esclusivamente sulla base di tre popoli costituenti, i serbi, i croati e i bosniaci. Ora, io non mi sento bosniaco, ma mi considero personalmente un cittadino della Bih. Non mi sento bosniaco (come molti altri bosniaci) perché bosniaco è diventato sinonimo di musulmano. Io non posso definirmi musulmano perché è una categoria religiosa e io non sono religioso. Tuttavia, come bosniaco non musulmano, non rientro nei tre popoli costituenti. Oggi molti cittadini della Bih non si definiscono né serbi, né croati, né bosniaci musulmani, e poi ci sono gli ebrei; ecco, tutte queste persone, dal punto di vista costituzionale, non esistono. Chiedo: come possiamo essere un paese europeo che rispetta la filosofia di cittadinanza, se una parte dei cittadini resta fuori dal sistema costituzionale? Qui non si tratta né di teorie, né di filosofia, ma della realtà. Come ambasciatore della Bih, ho vissuto personalmente questa situazione. Tutti gli ambasciatori della Bih sono selezionati dai tre membri della presidenza della Bih, ma sempre in chiave nazionale; cioè il membro della presidenza bosniaca ha il diritto di fare una proposta per un ambasciatore bosniaco, il serbo per un ambasciatore serbo, il croato per un ambasciatore croato. Non è importante che tu sia un professionista, che tu abbia i requisiti per essere un buon ambasciatore: se non sei serbo, croato o bosniaco, non puoi essere ambasciatore. Aggiungerei che devi essere membro del partito che si trova al potere.
Insomma, non mi sembra che la nostra situazione sia coerente con i principi europei. L’Europa dice si voler difendere la Bosnia e Sarajevo come un paese e una città multinazionali e multireligiosi, ma è pronta ad accettare la nostra ­realtà che è completamente contraria ai suoi stessi principi. Questa nostra costituzione non funziona qui e non può funzionare da nessuna parte.
C’è una grande retorica sulla Bosnia come cuore d’Europa.
Dopo la guerra, si è detto che la Bosnia era il cuore dell’Europa. La realtà è completamente diversa. Ora la Croazia è entrata nell’Unione europea. Tra parentesi: Tudjman durante la guerra ha combattuto contro una Bosnia Erzegovina indipendente, multinazionale, multiculturale. La stessa Serbia è oggi un paese molto più interessante per l’Europa di noi. Paradossalmente le condizioni create dall’Ue sono anche quelle che rallentano la nostra entrata: come possiamo dar vita a una storia, a una filosofia di cittadinanza e di cooperazione multinazionale in una realtà dove le scuole sono fondate praticamente sulla segregazione? Abbiamo scuole per bambini bosniaci, scuole per bambini croati e scuole per bambini serbi, con programmi scolastici e libri di storia completamente diversi.
La situazione qui è molto più complessa di quanto possiamo immaginare e ci sono molte forze pronte a strumentalizzare questo disagio. È stato molto interessante osservare le reazioni dopo l’attacco terroristico di Parigi. È cominciato subito un grande gioco politico e psicologico che ha fatto riemergere il conflitto tra sentimenti, ideologie e realtà diverse. Tutti hanno condannato l’attentato e però contestualmente è come se si fossero aperte le porte per attaccare l’Islam. Sappiamo che tra i musulmani ci ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!