Gianfranco Bellinzona è ispettore tecnico per le scuole elementari presso la Sovrintendenza Scolastica di Milano.

Allora, la riforma delle elementari, incentrata sul modulo, è già in una crisi gravissima?
Prima di tutto bisogna osservare che il modulo, il nuovo ordinamento della scuola elementare, viene introdotto subito dopo i nuovi programmi di insegnamento della scuola elementare. Infatti, i precedenti programmi datavano dagli anni 50, per cui avevano un impianto culturale piuttosto sorpassato. Nell’85 sono entrati in vigore i nuovi programmi didattici della scuola elementare, basati sull’insegnamento della lingua straniera, sull’insegnamento scientifico, sulla matematica moderna e sui cosiddetti linguaggi extra-verbali, l’educazione, cioè, all’immagine, alla musica, al corpo e al movimento. Proprio in quegli anni si è capito che non bastava un nuovo programma di insegnamento per realizzare una proposta formativa adeguata, perché l’insegnante tradizionale, cioè l’insegnante unico, il maestro della classe, con una preparazione generale e generica e con un numero di ore di insegnamento ridotto, 24 ore settimanali, non avrebbe potuto tradurre questi nuovi programmi in un progetto formativo adeguato. Da qui l’idea di una riforma starutturale della scuola elementare con un aumento dell’orario di insegnamento, che ora prevede un minimo di 27 ore settimanali che diventano 30 con l’insegnamento della lingua straniera e possono arrivare a 40 nella classe a tempo pieno.
Vi era, poi, la necessità di sostituire al maestro “tuttologo” un maestro più specializzato, suddividendo il programma di insegnamento fra più docenti, ognuno dei quali si dedicasse ad un gruppo di discipline, per esempio uno a lingua italiana e educazione all’immagine, un altro a matematica e scienze, un terzo alla lingua straniera. Ecco, allora, l’idea del modulo. Ma qui, da subito, la difficoltà, dovuta al passaggio da un tipo di insegnamento sostanzialmente individualistico, in cui l’insegnante gestiva la propria classe da solo, al nuovo modello, basato sulla specializzazione didattica dei diversi insegnanti. La maggior parte degli insegnanti non si è sentita pronta a questo cambiamento e non sono bastati neanche corsi di aggiornamento, iniziative di studio e di preparazione. In realtà, si richiedeva una completa riconversione professionale. Il problema non consisteva solo nella suddivisione fra tre o quattro docenti delle varie materie di insegnamento, ma nel trovare una forma di collaborazione, di lavoro in gruppo. I tre o quattro insegnanti responsabili delle classi dovrebbero lavorare in équipe, coordinare i loro interventi nei vari giorni della settimana, nelle ore del giorno, realizzare delle iniziative comuni, formare dei gruppi di alunni per le attività di laboratorio o le attività espressive. Tutto questo comporta una modalità di lavoro in gruppo che è completamente diversa dal modo tradizionale di lavorare, individualistico.
Questa è stata la difficoltà più forte nel passaggio dalla scuola tradizionale alla scuola riformata. Oggi come oggi, possiamo dire che la maggior parte di questi problemi di adattamento non è stata risolta: il lavorare in gruppo è un’abilità che si impara, ma richiede disponibilità personale, un certo adattamento, richiede anche dei supporti, un sostegno, un coordinamento. Oggi, nella maggior parte delle scuole, questa modalità di lavorare in gruppo non si è ancora diffusa. Anzi, in molti casi, trattandosi di una specie di coabitazione forzata, di costrizione, fa scoppiare delle contraddizioni, che possono manifestarsi in conflittualità: modi diversi di intendere il rapporto con gli alunni, metodologie di lavoro diverse, esperienze professionali diversissime tra loro, difficoltà di dialogo, di comunicazione e di scambio.
Il risultato è che il più delle volte questo gruppo docente in realtà non programma assieme, non lavora assieme: c’è un accostamento, una ripartizione del lavoro, stabilita magari all’inizio dell’anno, però poi ognuno va per conto suo. Intendiamoci, non dico che sia colpa dei docenti. Molti insegnanti hanno 10,15, 20 anni di carriera svolta con criteri completamente diversi. Quindi, non è che si possa addebitare questa impasse della riforma a una cattiva volontà dell’insegnante.
Una cosa è certa, un’équipe, un team efficace e funzionante non si realizza semplicemente con l’emanazione di una legge, richiede un percorso di formazione, ma, come succede in generale nella scuola ...[continua]

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