La vostra è una delle tante ditte del trevigiano che negli ultimi anni ha progressivamente assunto manodopera immigrata. Puoi raccontarci?
La Coverco costruisce pompe ad immersione, per l’estrazione d’acqua, ma non solo; è un lavoro che adopera molta tecnologia, oltre alla conoscenza di materiali, minerali e loro lavorazione; produciamo dalla materia grezza fino al prodotto finito.
Premetto che la nostra è una produzione innanzitutto mondiale. Noi lavoriamo con tutta l’Africa, l’Arabia, la Cina, il Giappone, Thailandia, Australia, Sudamerica, una parte dell’America Centrale e l’Europa naturalmente, ma molto poco con l’Italia. In azienda siamo circa centodieci persone e fatturiamo una trentina di miliardi l’anno.
Ebbene, qualche anno fa abbiamo avuto bisogno di un’espansione della produzione, personale non ce n’era, quindi siamo andati a pescare sulle risorse degli immigrati. Da subito ci siamo trovati intanto ad affrontare grossissimi problemi di comunicazione, quindi parlandone con la direzione abbiamo stabilito di offrire delle ore di formazione. La prima esigenza era che loro fossero in grado di capire quello che noi dicevamo, quindi abbiamo cominciato a fare corsi d’italiano sia internamente che esternamente; finiti quelli abbiamo cominciato con corsi di metrologia, di conoscenza e lavorazione dei materiali, abbiamo offerto un minimo di conoscenza informatica per la gestione dei tempi, dei cicli e anche per la lettura dei disegni.
Devo dire che i risultati li abbiamo avuti, addirittura su due versanti. Infatti, il primo obiettivo, offrire loro le conoscenze, è stato inferiore a quello, rivelatosi poi fondamentale, di farli sentire partecipi, di farli entrare subito in un gruppo di gente accomunata dagli stessi problemi: la famiglia lontana, l’affitto, i permessi… Presto abbiamo cominciato a vederli più tranquilli.
Si è creato così un ambiente, per cui qualcuno ha trovato il coraggio di esporci i propri problemi. Così li abbiamo aiutati a trovare casa o abbiamo sostenuto noi le spese per il ricongiungimento con la famiglia. In breve questo è diventato un supporto standard.
Questo è nato anche dall’esigenza di fidelizzare, per così dire, i dipendenti. C’era infatti anche un problema legato ai frequenti abbandoni…
In effetti uno di problemi più gravi all’inizio era che tu ti accollavi una serie di spese per corsi di formazione e casomai dopo qualche settimana loro prendevano e andavano da un’altra parte per centomila lire di differenza. Ecco, quando abbiamo scoperto che quella piccola somma era decisiva per pagare la bolletta, l’affitto, per poter avere un appartamento più grande, per poter chiamare la famiglia, per i documenti, abbiamo deciso di intervenire in quel senso. Anche perché fare formazione costa nel senso che tu paghi le ore di formazione ma anche le ore in cui loro non lavorano, quindi è una doppia spesa.
Devo anche dire che siamo andati per tentativi, abbiamo anche commesso degli errori. Per esempio, all’inizio avevamo pensato di aumentargli lo stipendio, ma questo si è subito rivelato disastroso sul piano dei rapporti con gli operai italiani, aggravato dal fatto che spesso loro erano anche chiamati ad aiutare i nuovi venuti: "Ma scusa, se a lui, che non sa fa niente, dai due milioni e mezzo, allora io, che devo stargli continuamente dietro spiegandogli tutto, quanti ne merito?"
Quindi ci siamo infine decisi per un’azione contraria: la loro paga rimane fissa, però l’azienda si assume l’onere di semplificare loro la vita, scaricandoli delle spese extra, riducendo l’affitto (e questo, avendo stipulato contratti di foresteria, significa che casomai l’azienda lo affitta per meno di quello che paga), agevolandoli nella richiesta dei documenti per i ricongiungimenti, per i prolungamenti dei permessi di soggiorno… Però, così i risultati si sono visti: non solo gli extracomunitari restano, ma allo stato attuale, abbiamo venti persone al giorno che chiedono di essere assunti.
In tutto questo lamentate un’assenza dello Stato, che anziché incentivare, aggrava talvolta queste operazioni…
Esattamente. Agevolare gli immigrati infatti significa anche, per esempio, anticipare all’agenzia immobiliare tre milioni per poter avere l’affitto subito, per cui poi li affittiamo noi e glieli offriamo a un costo inferiore, con contratti di foresteria. In questo però no ...[continua]
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