Una Città277 / 2021
agosto-settembre


...il maestro non è un burocratico qua­lunque, per cui i regolamenti sono tutto e la iniziativa individuale è nulla: la scuola non è un laboratorio di riproduzioni meccaniche con lo stampino ufficiale imposto con un telegramma ufficiale da sua Eccellenza il ministro; l'alunno non è un foglio di carta bianco su cui si possono fare a cuor leggero sgorbi, correzioni o cancellature: il maestro è custode d'anime, artefice di coscienze, suscitatore di pensieri; la lezione è un'opera d'arte delicatissima, la cui buona riuscita dipende tutta dalla cultura, dall'ingegno, dall'affetto squisito e vigile dell'insegnante: l'alunno è un oggetto fragile e perico­loso che va maneggiato con la massima cura: una parola opportuna può salvarlo, una parola stonata può scoraggiarlo e perderlo per tutta la vita.
Gaetano Salvemini
(Critica Sociale, n. 18-19, 1903)

agosto-settembre 2021

Fermarsi, per riprendere fiato
Dopo il ritiro dall’Afghanistan
Di Stephen Eric Bronner

Cosa ci fa lì l’imam?
Sulle donne, l’islam e la sinistra
Intervista a Tiziana Dal Pra

Disuguaglianza e scuola
Su scuola, uguaglianza, merito e competenze
Intervista a Luciano Benadusi
e Orazio Giancola

Il sonetto in carcere
Su carcere, cultura e libertà
Intervista a Edoardo Albinati

Catturare l’anidride carbonica?
Su un controverso progetto dell’Eni a Ravenna
Intervista a Marina Forti

La questione demografica
Sul presente e il futuro di Israele e Palestina
Intervista a Davide Lerner

Ma noi già ci parliamo!
La vita a Gerusalemme dopo l’ultima guerra
Intervista a Manuela M. Consonni

Georg Simmel e la filosofia della vita
Alfonso Berardinelli

Nessuno risponderà
Irfanka Pasagic

Il generale
Matteo Lo Presti

La perdita dell’integrità
Belona Greenwood

I bambini di Putin
Massimo Livi Bacci

No Vax e rapporto di lavoro
Massimo Tirelli
 
La copertina è dedicata alle vittime dell’attentato dell’11 settembre. La pagina qui a fianco alle donne afghane. Cos’è successo? Se ne discuterà a lungo. Noi non vorremmo dare la croce a Biden. Ci chiediamo: ci può essere libertà sotto protettorato? Forse temporaneamente, ma poi? Anche a livello internazionale dovrebbe valere il principio secondo cui l’aiuto deve servire a metterti in grado di far da solo, non a cronicizzare la debolezza. In questo senso l’Afghanistan è un fallimento, certo, ma poteva non esserlo? Dall’assedio di Sarajevo abbiamo imparato che di fronte a una persecuzione si deve intervenire e dalla difesa del Kosovo, a usare, se necessario, il massimo della forza col minimo di perdite civili. Ma era questo il caso dell’Afghanistan? Biden ha minacciato, nel caso di attacco ai soldati americani durante la ritirata, una “risposta devastante”. Ecco, forse avrebbe dovuto minacciarla nel caso che nei prossimi mesi, e anni, i talebani proibiscano alle ragazze afghane l’accesso alle scuole. La domanda, però, è se siamo ancora capaci di usare la forza per ciò che è giusto. Dopo gli attentati in Europa siamo andati in corteo urlando: “Non ci cambieranno”. È andata così? Sembra che lo “spirito di Monaco” si sia impossessato dell’Occidente: la pace, e i commerci, sono il bene supremo da salvare a ogni costo, compreso quello di fare amicizia e affari con dittatori sanguinari. Abbiamo chiuso gli occhi sulla “presa” di Hong Kong, sulla persecuzione degli Uiguri, sull’annessione della Crimea; un presidente americano si è rimangiato la parola data pur di non intervenire in Siria, abbiamo lasciato che i curdi tenessero la prima linea al nostro posto per poi voltar loro le spalle; la Germania si sta legando ancor più al gas della Russia per difendere la propria prosperità e si formano colossi industriali per aprirsi al mercato cinese; la sharia ci ripugna ma non abbiamo il coraggio di ammetterlo e facciamo finta di non sapere che sta mettendo radici nei nostri paesi; il fascismo (rosso, verde e anche nero) impera ormai in mezzo mondo e continua a guadagnare posizioni, così come l’“ibrido” della “democrazia autoritaria”; da decenni, ormai, ai nostri giovani non si fa che predicare che non esistono guerre giuste, che è la guerra il male assoluto.
Per capire come siamo messi facciamoci un test: quando la Cina si sarà convinta di aver raggiunto una decisiva deterrenza nucleare e si prenderà Taiwan, secondo noi cosa dovrebbe succedere?
Forse, oltre a sostenere tutti i movimenti per la democrazia e in difesa dei diritti umani, ci vorrebbe una nuova “società delle nazioni”, un’associazione delle nazioni democratiche ad alto standard di rispetto dei diritti umani, unita da patti di ferro e fortissima sia economicamente che militarmente, in grado di offrire piani Marshall ai paesi che vogliono entrarne a far parte e capace, anche a costo di grandi sacrifici immediati, di dichiarare la guerra fredda ai regimi fascisti. Ma questo è solo un sogno.

Tiziana Dal Pra ci racconta dell’impegno contro i matrimoni combinati e del problema che hanno tanti, a sinistra, a contestare le tradizioni religiose patriarcali dei paesi d’origine dei nostri immigrati. Luciano Benadusi e Orazio Giancola ci parlano della rincorsa della scuola per combattare le disuguaglianze, dei rischi sottesi ai concetti di merito ed eccellenza e del dibattito sorto sulle competenze e attorno alla domanda: a cosa serve la scuola? Davide Lerner e Manuela Consonni ci aggiornano sullo stato dei rapporti fra israeliani e palestinesi. E poi gli interventi di Berardinelli, Pasagic, Lo Presti, Greenwood, Livi Bacci, Tirelli.