Una Città152 / 2008
Dicembre-Gennaio


Cambiamo formato. Dopo anni di proteste per la sua scomodità da parte di tanti abbonati ci siamo decisi, malgrado l’affezione al formato grande. Considerazione decisiva però è stata quella che nel vecchio formato, per un fatto esclusivamente tecnico (l’ultima piega sarebbe divenuta impraticabile) eravamo al limite massimo per numero di pagine. Con il nuovo, invece, potremo aumentarle e "raccontare” e "discutere” di più. Ovviamente cambiano anche alcune altre cose, la copertina, il sommario, l’ultima pagina, eccetera. Se avete critiche da fare scriveteci. Ne abbiamo bisogno. (unacitta@unacitta.it)

Apriamo con Massimo Livi Bacci che, oltre a rimarcare il danno che procura al paese affrontare sempre con una legislazione d’emergenza il fenomeno ormai normale di un’immigrazione costante e necessaria, ci dà una buona notizia e una cattiva: l’umanità sta frenando la sua crescita demografica, nel 2050 forse sarà ferma (nel frattempo, però, si dovranno sistemare altri due miliardi di persone); la cattiva è che in Italia i giovani invecchiano da giovani, cioè entrano tardi nel lavoro, mettono su casa tardi, decidono tardi di far dei figli; di conseguenza non contano (pag. 3-5).

Dedichiamo due pagine alle immagini della manifestazione di donne di Roma contro la violenza sulle donne. Lo facciamo anche perché è partito l’attacco alla 194 e nel modo più ignobile: paragonando l’aborto alla pena di morte, e quindi le donne che abortiscono a dei boia, descrivendolo come il male assoluto dei nostri tempi, e quindi simile ad Auschwitz. A questa gente, quasi tutti maschi (il che rende addirittura rivoltante la mobilitazione) non interessa nulla il fatto che questa legge abbia dimezzato gli aborti e quasi debellato la piaga orribile dell’aborto clandestino; non interessa nulla il dato che ad abortire oggi siano soprattutto le giovanissime e le donne immigrate e che spesso tante maternità derivino da atti sessuali indesiderati; a loro non interessano le persone in carne e ossa. Ma allora cosa interessa? Ancorarsi a dei principi gelidi, disincarnati, spietati, a un’etica di stato per rimediare al dilagare dell’amoralità che credono di vedere intorno a loro? Può darsi, ma è forte il sospetto che vogliano fermare le donne, le loro conquiste di libertà che stanno cambiando il mondo. Se è questo, lo scontro non potrà che essere frontale. Il diritto prevalente è dalla parte della libertà della donna, se ne stiano loro in compagnia di tutti quei regimi e religioni del mondo in cui ogni diritto prevale sulla libertà della donna (pag. 6-7).

La catastrofe dell’Iraq continua a scuotere il mondo (e che qualcuno canti vittoria perché gli americani si sono alleati ai baatisti di Saddam stanchi degli attacchi ai civili dei fanatici di Al Qaeda dice solo di quanto faccia diventare stupidi l’arroganza di non voler ammettere di aver avuto torto). Il Golfo è dell’Iran e ora, se lo vogliono fermare, dovranno fargli la guerra (e quello si sta preparando a farla lì attorno); Il Pakistan è destabilizzato e ha la bomba, in Afghanistan tornano i talebani; infine Al Qaeda ha evidentemente reclutato in tutto il mondo musulmano; manca solo che la Turchia attacchi il Kurdistan iracheno, il che è entrata nel novero degli eventi probabili... Di tutto questo ci parla Andrew Arato (pag. 8-10).

Il buon vicinato, per cui si poteva contare sul vicino, farsi favori reciprocamente in base alle rispettive competenze, in cui c’erano spazi comuni per grandi e piccini, sembra un ricordo del passato non più realizzabile in città dove si gira freneticamente da un punto all’altro per ogni incombenza; c’è però chi ci riprova. Il cohousing è una buona pratica di cittadinanza che si sta diffondendo nel nord dell’Europa, e ora anche in Italia, e che consiste nel fatto che gruppi di cittadini si incontrano e decidono di costruirsi una palazzina con diversi servizi in comune, come la lavanderia, l’hobby room, la piscina, eccetera, eccetera. A parlarne è Luca Mortara (pag. 11-13).

Può avere ancora un senso insegnare calligrafia a scuola? Ce ne parla Barbara Calzolari (pag. 14-17).

La Carta dei valori non si sa bene cosa sia. E poi a chi è rivolta? Ai musulmani? Alle parafrasi della costituzione si aggiungono note storiche identitarie di dubbio valore storico, in cui si dipinge un’Italia dove certi valori sembrano acquisiti, il che è falso. L’intervento è di Francesco Ciafaloni (pag. 18-19).

Nelle facoltà di medicina non si insegna la capacità di comunicazione, eppure questa è sempre più importante in presenza di terapie delicate che esigono l’impegno e la convinzione del paziente e anche in situazione di cronicità della malattia in cui è inevitabile la personalizzazione delle cure. E’ ormai dimostrato che la massima trasparenza, nel parlare della diagnosi, è un bene, oltre che un obbligo di legge. Ce ne parla Andrea Martoni, oncologo bolognese (pag. 20-22).

Nelle centrali immagini dalla Cina.

Vjosa Dobruna ci parla della nuova costituzione kosovara, rigidamente non etnica e rispettosa dei diritti di tutte le minoranze, etniche, religiose e di genere, e dell’inevitabilità dell’indipendenza di una piccola regione, che ha patito, per colpa della Serbia, prima lunghi anni di apartheid poi un vero e proprio tentativo di genocidio (pag. 27-29).

\r "Sulla via della seta” sono gli appunti di viaggio in Kazakistan di Paolo Bergamaschi (pag. 30-31).

\r "La storia” è quella di Terry O’Keeffe che ci racconta di cosa voleva dire farsi prete nell’Irlanda degli anni ’50, delle lezioni di Levinàs nel ’68 a Parigi, poi del Bloody Sunday, dell’incontro con Margaret... e dell’abbandono della tonaca... (pag. 32-33)

Riferendosi ai ragazzi e alle ragazze comuniste, Gaetano Salvemini si augurava che qualcuno di quei giovani generosi, una volta crollata l’illusione dell’avvento del paradiso in terra, riscoprisse il socialismo umanitario e gradualista... Era la speranza che coltivava negli ultimi anni della sua vita, nella disillusione di un’Italia caduta nelle mani dei clericali e di una sinistra dominata dai totalitari. Erano gli anni ’50 e sarebbero dovuti passare ben trent’anni perché il comunismo crollasse e a tutt’oggi si può avere qualche dubbio che si stia ritornando a quel socialismo umanitario... Sergio Bucchi ci spiega come per Salvemini liberalismo e democrazia fossero condizione sine qua non del socialismo, di un socialismo non statalista, federalista e cooperativista, sul modello laburista, e come non si desse pace nel vedere che il disprezzo della democrazia era penetrato a sinistra; il suo intervento contro la dittatura sovietica al congresso internazionale degli scrittori del ’35 a Parigi, al tempo dei fronti popolari, dove molti presenti credevano che la Russia fosse la patria dei lavoratori e gli altri tacevano in nome della lotta antifascista, resterà nella storia... (pag 34-39).

\r "Solmi, Montale e le stalle di Augìa” è l’intervento in cui Renato Solmi ci parla di suo padre e dell’amico Montale e di come videro e vissero il dopoguerra... (pag. 40-41).

Per "ricordarsi” una foto sola: spedita da Giuseppe Pianezza, antifascista comunista e antistalinista, da Ventotene ai familiari, ritrae un gruppo di confinati (pag. 42-43).

Nelle ultime pagine la lettera di Ilaria Maria Sala dalla Cina e all’interno dei nostri appunti del mese, un intervento di Gianni Marchetto sulla strage degli operai della ThyssenKrupp (pag. 44-47).

La copertina è dedicata alla situazione dei territori occupati. Tutti speriamo che qualcosa si stia sbloccando, ma è successo altre volte che insieme alla speranza siano arrivati nuovi insediamenti di coloni, nuove demolizioni di case di palestinesi: è di questi giorni l’annuncio della costruzione di altre centinaia di alloggi a Gerusalemme est. E’ stato in Italia Jeff Halper e secondo lui non c’è più alcuna possibilità di uno Stato palestinese che non sia un insieme di bantustan separati e dipendenti totalmente da Israele: apartheid, cioè. Speriamo che si sbagli. Se isolare Hamas fra i palestinesi è condizione per convincere molti israeliani ad appoggiare un ritiro risolutivo dai territori, la proposta di un tale ritiro dai territori è condizione per convincere tanti palestinesi a lasciare Hamas. Quindi?