Una Città284 / 2022
maggio-giugno


Ci fu un solo nazismo [...]. Al contrario, si può giocare al fascismo in molti modi, e il nome del gioco non cambia. Succede alla nozione di fascismo quel che, secondo Wittgenstein, accade alla nozione di gioco [...]. I giochi sono una serie di attività diverse
che mostrano solo una qualche somiglianza di famiglia. [...] è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo
si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l’imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo
e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anti-capitalismo radicale (che non affascinò mai
Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente
estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola.
A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una
lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare
l’Ur-Fascismo, o il Fascismo Eterno...
Umberto Eco (“La Repubblica”, 2 luglio 1995)
maggio-giugno 2022

Il cuore dell’Europa
Cos’è in gioco in Ucraina
intervista a Raphaël Glucksmann

Se pensiamo al genocidio armeno...
Sull’identità ucraina e le ragioni della guerra
intervista a Simone Attilio Bellezza

La guerra giusta
Michael Walzer

Combattere la solitudine
Una buona pratica di convivenza solidale
intervista ad Andrea Chiappori

Chiedevano di non essere abbandonati
Sull’assistenza al morente e il futuro della medicina
intervista a Giovanni Creton

La distruzione del sé
Per una giustizia ricostruttiva
Intervista a Mauro Palma

Via Bolla, Milano
Nelle centrali, servizio fotografico di Guia Biscàro

Un solo stato democratico
Quali prospettive per Israele e la Palestina?
intervista a Jeff Halper

Più facile costruire un grattacielo che costruire la pace
Paolo Bergamaschi

Il mare
La storia di una famiglia di pescatori
intervista a Luciano Sartini

Gaetano Mosca e la classe politica
Alfonso Berardinelli

La parola “io’
Alberto Cavaglion

In ricordo di Giulio Giorello
Matteo Lo Presti

L’assedio di Ceuta e Melilla
Emanuele Maspoli

“Five Years” per piangere
Belona Greenwood

Pensare l’Europa dopo l’aggressione all’Ucraina
Alessandro Cavalli

Ciò che conta di più nell’onore
Stephen Bronner

Vita fraterna
Giovanni Tassani

La visita è alla tomba di Vaclav Havel
Dedichiamo la copertina alle vittime dell’ennesimo crimine di guerra commesso dall’esercito russo: un missile diretto a un supermercato. Ma chiediamocelo: ci fa impressione? Non è che ci stiamo abituando a credere che la guerra si fa così? Che la “guerra giusta”, nel movente e nelle modalità, non esiste? D’altra parte non è di questo che ci vuol convincere chi fa diventare il pacifismo e la non-violenza principi senza eccezioni? Chi pensa alla guerra come il male assoluto? Il rischio che stiamo correndo è la banalizzazione della prepotenza, della cattiveria, del sopruso, della violenza contro gli inermi, dell’uso del terrore, perché tutto questo non sarebbe altro che guerra. Abbiamo visto civili costretti a correre in fila indiana ognuno con una mano sulla spalla dell’altro e poi il mucchio dei loro corpi, e veniva in mente quel video dove i serbi di Mladic fanno scendere da un camion dei giovani prigionieri, li fanno stendere nel fossato e fanno finta di sparare e ridono e tu speri che sia stato solo un gioco crudele, ma poi in fila indiana li fanno entrare nel bosco. Questo sarebbe solo guerra? Civili inermi uccisi e sepolti in fosse comuni, soldati e civili torturati, donne stuprate, intere città distrutte per terrorizzare la popolazione e spingerla all’esodo, soldati prigionieri giustiziati, deportazioni, non sarebbero che guerra? Come pure, allora, gli eccidi di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema, delle fosse Ardeatine. Così l’espressione “crimini di guerra” diventa insensata, perché è la guerra il crimine. Alla fine, anche il genocidio sarà solo guerra. E avremo toccato il fondo dell’indifferenza.

Raphaël Glucksmann ci ricorda che gli ucraini nel 2014 scesero in piazza con le bandiere dell’Unione europea; ora lì è in gioco l’avvenire dell’Europa per i prossimi decenni. Simone Attilio Bellezza ci spiega come il senso di appartenenza costruito a partire dalla lotta per la democrazia sia alla base dell’identità ucraina e che è questo che ha scatenato la furia di Putin e la volontà di resistenza degli ucraini in nome dell’Europa e contro la “dittatura euroasiatica”.
In questo numero torniamo a parlare di buone pratiche. Con Andrea Chiappori delle “convivenze solidali”, avviate dalla Comunità di Sant'Egidio e attive oggi in diverse città, a dimostrazione che esiste un’alternativa alle grandi residenze; con Giovanni Creton di un’associazione nata a Roma per dare assistenza al morente a casa quando ancora non esistevano hospice e cure palliative; del carcere come luogo della distruzione del sé corporeo, del sé espressivo, del sé adulto e del grande ruolo che, per rimediare, può avere la cultura, ci parla Mauro Palma.
Con Jeff Halper facciamo il punto della situazione in Israele e in una Palestina dimenticata da tutti.
“La storia” è quella di Luciano Sartini, di Cervia, che al mare e alla pesca ha dedicato la vita e che oggi, da pensionato, osserva con amarezza lo scempio che si fa del mare.

Nelle pagine degli interventi Berardinelli ci parla di Gaetano Mosca, Matteo lo Presti ricorda Giulio Giorello, Alessandro Cavalli si interroga sul futuro dell’Europa dopo l’Ucraina, Belona Greenwood dall’Inghilterra rievoca una profetica canzone di David Bowie che ci dava “cinque anni per piangere”, prima della fine prossima ed Emanuele Maspoli, dal Marocco, ci parla dell’assedio di Ceuta e Melilla. Inauguriamo una pagina dove pubblichiamo interventi con cui la redazione è “in disaccordo”. Questa volta è sulla guerra contro l’Ucraina e la firma è di Stephen Bronner.
Infine un articolo di Giovanni Tassani ci racconta di una piccola rivista che negli anni della Prima guerra mondiale, fino ai primi anni Venti, attirò l’attenzione di Salvemini e Gobetti: “Vita fraterna”, fatta soprattutto da donne, già infermiere nella guerra, cattoliche o comunque spiritualiste, tutte in qualche modo mazziniane.