Carla Melazzini, maestra di strada napoletana, da anni è impegnata nel Progetto Chance.

Pasqua 2002: a San Giovanni a Teduccio viene ucciso il diciannovenne Filippo. E’ fratello di un’alunna di Chance, parente di altre due, amico di altri.
All’origine della scrittura del progetto ci fu anche l’uccisione di un ragazzo nel parcheggio del supermercato davanti a scuola. I giornalisti chiesero come mai il quattordicenne stesse nel parcheggio e non a scuola (i bene informati dissero che il ragazzo non era solo una vittima trasversale, ma già omicida a sua volta).
L’estate scorsa, in una delle innumerevoli risse con le quali i ragazzi di San Giovanni e di Barra si sforzano di imitare la guerra degli adulti dei due quartieri è finito ammazzato il sedicenne Cesare, che passò per la selezione di Chance e fu scartato per dichiarata indisponibilità a imbarcarsi nell’avventura. Per dei ragazzi non è difficile morire, in questi paraggi. Da quattro anni viviamo in questo mondo, accogliendolo senza giudicarlo, quasi senza parlarne. Adesso, dice un’insegnante, “abbiamo il morto in casa”: per cui si sente il bisogno di dire qualcosa.

Rituali di lutto
Lo Stato ha deciso che il morto di camorra non deve avere il funerale in chiesa, come il suicida. Nel rione di Filippo viene organizzata una fiaccolata per chiedere l’ingresso in chiesa; il parroco strappa lo striscione e lo butta nella monnezza.
Neanche fare i preti è facile da queste parti: è una scelta continua tra essere conniventi o impietosi.
In queste circostanze l’organizzazione pubblica del lutto vuole essere anche un’esibizione di forza: in altri rioni furono devastate le bancarelle che si erano presentate sotto il palazzo del boss defunto, per il mercato consueto, o bastonata la signora che aveva osato accendere la radio. Il prete della parrocchia vicina quando c’è il coprifuoco da lutto accende sulla chiesa un faro che illumina a giorno la piazza.
Le nostre ragazze dicono che la fiaccolata era anche sincera: Filippo era “nu buono guaglione”. E’ stato portato direttamente dall’obitorio al cimitero.

Morte e vita
Quattro anni fa constatammo costernati che i nostri ragazzi e ragazze, uscendo insieme da scuola come fanno gli adolescenti, si dirigevano al cimitero.
La frequentazione con le anime defunte è connaturata all’arcaica religiosità popolare napoletana, così come le fantasie sulla morte sono compagne di strada di ogni adolescente, ma qui c’era molto di più: l’intimità con la morte concreta ha marchiato la vita di questi ragazzi, ed è architettonicamente incarnata nelle palazzine funebri che ospitano un’intera generazione di maschi giovani morti di morte violenta.
I rimanenti stanno in quel luogo dei morti viventi che è il carcere. Così che “‘o colloquio” è il centro focale della vita di centinaia di famiglie.
Questa esperienza può produrre un’invincibile paura della vita, di cui la paura e il rifiuto della scuola è solo una modesta appendice.
Tre ragazze cugine tra loro, che non siamo riusciti in nessun modo a trattenere con noi, hanno trovato una via d’uscita nella gravidanza. Trucco vistoso e atteggiamenti sguaiati potrebbero trarre in inganno circa la natura di queste gravidanze, se non fosse così facile scoprire sotto quelle facciate variopinte le bambine terrorizzate, e nelle madri altrettanto dipinte la stessa paura delle figlie. Non è strano che in famiglie decimate traumaticamente della componente maschile le donne -bambine quasi ancora- si aggrappino alla loro facoltà generatrice di vita.
In secondo luogo, la gravidanza precoce rappresenta il modo più definitivo di rientrare nei ranghi del proprio destino sociale, tagliandosi i ponti alle spalle. Solo lentamente ci siamo resi conto di quanto la nostra presenza e la nostra azione, proprio perché accogliente, potesse essere percepita come pericolosa, aprendo prospettive di relazioni e di vita sentite come inaccessibili.
E’ difficile figurarsi fino a quale profondità questi esseri umani si sentano dei reietti.

Burqa, morsi
Infine, la gravidanza precoce serve a sanzionare il controllo del maschio sulla femmina. Niente temiamo di più, per le nostre ragazze, del “fidanzamento in casa”: atto ufficiale con il quale la famiglia si solleva del problema di un’adolescente turbolenta dandola in consegna a un ragazzotto qualunque e alla di lui madre (la “gnora”). Da quel momento lui decide se la ragazza debba o meno partecipare alle gite con i compagni, scendere nella strada da sola, ...[continua]

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