L’intervento di Liliana Picciotto Fargion
Vorrei innanzi tutto ringraziare gli organizzatori di questa manifestazione e l’università che ci ha ospitato, per averci dato la possibilità di incontrare il pubblico di Forlì. Io lavoro come ricercatrice presso un centro studi di Milano che da parecchi anni si è posto come finalità quella di cercare di ricostruire l’ambiente e i nomi delle persone arrestate e scomparse in Italia durante l’occupazione tedesca e la Repubblica Sociale Italiana, tra il ’43 e il ’45. Questo lavoro fu iniziato da uno storico francese, Serge Karlfeld che negli anni ‘7O si mise in testa di ricostruire l’elenco esatto degli ebrei che, dalla Francia, erano scomparsi nel nulla. Si parlava di centomila persone di cui non si avevano più tracce ma non c’era nessun lavoro organico che ricostruisse il loro destino. Ricerche di questo genere furono fatte in seguito anche in Belgio, in Olanda, in Germania, per la parte ex-federale, ed ora è stata conclusa anche in Italia. In questo lavoro ho speso tredici anni della mia vita, ma era un lavoro che era già iniziato ben prima di me. La finalità principale -che ne è anche una lettura un po’ morale- è quella di restituire un volto, una personalità, una dignità a persone che erano destinate a scomparire nel nulla. La ricerca va quindi nell’esatto senso contrario a quello inteso dalle finalità naziste.
Che cosa avevano in testa i nazisti per gli ebrei d’Europa? Dal I941 in poi, avevano in testa di eliminarli completamente, non solo fisicamente, ma eliminarne anche il ricordo, la memoria, la cultura, i beni, le possibilità di generare figli. Il procedimento che venne loro applicato fu studiato e portato a termine scientificamente. Questa gigantesca impresa, che i nazisti chiamavano la “soluzione finale” del problema ebraico, iniziò appunto nel 1941 ed ebbe conclusione solamente con la liberazione dell’Europa nel 1945. Nel frattempo la maggior parte della comunità ebraica europea fu distrutta.
L’Europa era il luogo più popoloso di comunità ebraiche; c’era una Polonia popolosissima di ebrei, si parla di tre milioni di persone; la Russia invasa dalle armate tedesche era piena di ebrei e quando dico ebrei, intendo tutta la loro cultura, il loro modo di pensare, di agire, il loro modo di rapportarsi alla società, di leggere i libri, di leggere la loro tradizione e di prospettare un loro futuro. Tutto venne distrutto. La Polonia di oggi non ha più nessuna memoria ebraica; era un paese che aveva tre milioni di ebrei e oggi ne ha tre, quattromila. Sono rimaste pochissime tracce; in quel luogo, oggi, si parla ormai di archeologia.
Quando i nazisti occuparono l’Italia, nel 1943, dopo l’8 settembre, misero in pratica quello che negli altri paesi occupati era già stato pienamente avviato. Nel resto dell’Europa il progetto di sterminio era già in pieno svolgimento. Ci furono varie fasi.
Si iniziò nel 1941, con le fucilazioni in massa di interi villaggi ebraici nella Russia sovietica. Le armate tedesche che avanzavano per invadere l’Unione Sovietica avevano alle spalle uno speciale distaccamento, le “einsatzgruppen”, gruppo di assalto speciale, formato da fucilieri di professione, addestrato alle fucilazioni. Ogni volta che arrivavano in un villaggio, facevano il censimento e separavano gli ebrei dal resto della popolazione. Dovete immaginare che era una popolazione assolutamente rurale, molto semplice, nessuno era in grado di elaborare, di capire, di orientarsi bene su che cosa stesse succedendo; stiamo parlando di piccoli villaggi dello shtedtl dell’Unione Sovietica. Quindi anche la domanda oziosa che mi viene posta certe volte: perché non si ribellavano? Non si ribellavano perché nessuno aveva capito che cosa stesse succedendo, questa è la verità. Queste “einsatzgruppen” fecero un enorme bagno di sangue di più di un milione di persone nel giro di un anno e questa è materia documentata; tutti i tentativi dei revisionisti, di questi storici cosiddetti revisionisti, che osano negare la realtà dei fatti, sono assolutamente una menzogna ...[continua]
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