Alcune precisazioni possono essere utili alla corretta fruizione dell’opera. Anzitutto: malgrado le oltre mille pagine complessivamente assommate -pagine di uno scrittore scabro peraltro, né mai ridondante- si tratta ancora e solo di un’antologia, non di una raccolta integrale: un’occhiata agli apparati biobibliografici che chiudono quest’ultimo tomo può dare un’idea delle proporzioni in gioco. Inoltre: sono scritti di Michele Ranchetti certamente, non però libri di Michele Ranchetti. Ciò che è particolarmente evidente per questo volume, allestito ormai nell’assenza di lui, vale anche per i precedenti: l’Autore ha permesso e forse desiderato che altri lavorasse ai suoi scritti e ne ha seguito il progetto con attenzione, ma anche con estrema discrezione, non sconfessando l’esito né attivamente rivendicandolo -ha insomma serbato una distanza di sicurezza che voleva essere anche, credo, distanza etica da se stesso, sospensione del giudizio su un’attività scientifica propria che egli non sottostimava in quanto tale, sì tuttavia per rapporto a qualcos’altro di migliore e di più alto del mero bios theoretikos. Questa precisazione si impone anzitutto nel rapporto con altre raccoltine sue: sillogi come gli Ultimi preti ad esempio, o come Non c’è più religione, benché certamente sollecitate dall’esterno, sono pur sempre state eseguite, e cioè assemblate, prefate, titolate, direttamente dall’ Autore; lo stesso, e con un di più di persuasione, vale per le poesie, il cui carattere strenuamente privato, peraltro, le metteva in fondo al riparo dall’autocensura. Tale carattere di autografia non si applica invece a questi Scritti diversi (titolo assolutamente, ma unicamente, d’Autore), soprattutto quanto all’ordinamento tematico, replicato in miniatura, come si è detto, in questo volume conclusivo. Un ordinamento sorto dallo scrutinio minuto dei testi, dalla rilevazione di insistenze e ricorrenze, nel tentativo di capire la ratio di una produzione complessa, centrifuga nelle sue direzioni e intermittente nei suoi percorsi; di capirla e di mediarla ad altri, secondo un proposito divulgativo, cioè, e non scientifico, o non primamente. L’ interpretazione che inevitabilmente soggiace alla riproposta così organizzata -e comunque organizzata- di questi scritti, non pretende pertanto di basarsi su evidenze criticamente accertate, né lo potrebbe, in mancanza dell’approfondimento documentario e della distanza prospettica necessari.
Vivendo Michele, non ho mai avvertito l’esigenza di precisazioni del genere. Anche nel seguito, tra la tentazione di enfatizzare il ruolo del curatore e quella opposta di mimetizzarlo dietro l’avallo ...[continua]
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