Il volume degli Scritti diversi di Michele Ranchetti da poco in libreria (Edizioni di storia e letteratura, pp. 300, € 34) è il quarto di una serie avviata alla fine dello scorso decennio, e insignita del premio speciale della giuria al Viareggio del ’99. Raccoglie quarantacinque testi di Ranchetti cronologicamente ulteriori a questa data e ultimi della sua lunga attività di studioso, interrotta dalla morte nel febbraio 2008. Si presenta come un insieme di addizioni ai tre volumi precedenti, di cui adotta la ripartizione tematica: Etica del testo (si leggono qui i lavori del Ranchetti filologo, editore lettore e traduttore di testi d’area soprattutto ebreo-tedesca, scrutatore attento della vita e dell’opera di alcune personalità predilette, e non da ultimo organizzatore di cultura rigoroso e instancabile), Chiesa cattolica ed esperienza religiosa (oltre alle immancabili perizie autottiche su alcuni tra i protagonisti della vita religiosa italiana, si ritrovano qui gli scritti militanti dello studioso di storia della Chiesa, di essa risentito osservatore e censore polemico), Lo spettro della psicoanalisi (sono saggi e discorsi su Freud, una passione anche questa militante, e militata dall’Autore per buoni quarant’anni). In limine sono aggiunti due brevi ma importanti autotestimonianze, che fanno da ponte alla bella intervista autobiografica allegata al volume in dvd. Così configurata, questa raccolta ha il pregio di documentare la ricerca di Ranchetti in tutta la sua ampiezza, peraltro in una fase particolarmente feconda della sua produzione, quando ormai le ragioni si sono fissate in una persuasione ferma e quasi testamentaria. Offre così una sorta di via breve alla conoscenza di un Autore dalle molte facce, non agevole a seguirsi sulle diverse tastiere, non sempre facile al primo approccio.
Alcune precisazioni possono essere utili alla corretta fruizione dell’opera. Anzitutto: malgrado le oltre mille pagine complessivamente assommate -pagine di uno scrittore scabro peraltro, né mai ridondante- si tratta ancora e solo di un’antologia, non di una raccolta integrale: un’occhiata agli apparati biobibliografici che chiudono quest’ultimo tomo può dare un’idea delle proporzioni in gioco. Inoltre: sono scritti di Michele Ranchetti certamente, non però libri di Michele Ranchetti. Ciò che è particolarmente evidente per questo volume, allestito ormai nell’assenza di lui, vale anche per i precedenti: l’Autore ha permesso e forse desiderato che altri lavorasse ai suoi scritti e ne ha seguito il progetto con attenzione, ma anche con estrema discrezione, non sconfessando l’esito né attivamente rivendicandolo -ha insomma serbato una distanza di sicurezza che voleva essere anche, credo, distanza etica da se stesso, sospensione del giudizio su un’attività scientifica propria che egli non sottostimava in quanto tale, sì tuttavia per rapporto a qualcos’altro di migliore e di più alto del mero bios theoretikos. Questa precisazione si impone anzitutto nel rapporto con altre raccoltine sue: sillogi come gli Ultimi preti ad esempio, o come Non c’è più religione, benché certamente sollecitate dall’esterno, sono pur sempre state eseguite, e cioè assemblate, prefate, titolate, direttamente dall’ Autore; lo stesso, e con un di più di persuasione, vale per le poesie, il cui carattere strenuamente privato, peraltro, le metteva in fondo al riparo dall’autocensura. Tale carattere di autografia non si applica invece a questi Scritti diversi (titolo assolutamente, ma unicamente, d’Autore), soprattutto quanto all’ordinamento tematico, replicato in miniatura, come si è detto, in questo volume conclusivo. Un ordinamento sorto dallo scrutinio minuto dei testi, dalla rilevazione di insistenze e ricorrenze, nel tentativo di capire la ratio di una produzione complessa, centrifuga nelle sue direzioni e intermittente nei suoi percorsi; di capirla e di mediarla ad altri, secondo un proposito divulgativo, cioè, e non scientifico, o non primamente. L’ interpretazione che inevitabilmente soggiace alla riproposta così organizzata -e comunque organizzata- di questi scritti, non pretende pertanto di basarsi su evidenze criticamente accertate, né lo potrebbe, in mancanza dell’approfondimento documentario e della distanza prospettica necessari.
Vivendo Michele, non ho mai avvertito l’esigenza di precisazioni del genere. Anche nel seguito, tra la tentazione di enfatizzare il ruolo del curatore e quella opposta di mimetizzarlo dietro l’avallo ...[continua]

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