Si parla molto di deflazione e depressione economica in Europa. Si parla meno del declino della popolazione in molti paesi dell’Europa orientale e centrale, anche in seguito all’emigrazione verso Occidente. È una delle conseguenze, forse indesiderate, dell’allargamento rapido dell’Unione Europea (e della Nato) nello spazio lasciato libero dal crollo dell’Unione Sovietica. È come se le popolazioni stessero franando da Oriente verso Occidente per ammassarsi nella valle del Reno (dove, oltre che in Olanda e in Inghilterra, si registrano le densità maggiori); e da nordest verso sudovest in Francia, per ammassarsi verso i Pirenei e il Mediterraneo.
In Italia il movimento è invece da sud a nord, per la popolazione autoctona. Per quella in arrivo dall’Ucraina, dalla Moldova e dai paesi Ue, che restano le provenienze più importanti dell’immigrazione stabile, l’onda si ferma al livello del Lazio e delle Marche. Che la valle del Reno, quella del Tamigi e quella del Po siano il cuore dell’Europa non è una novità, ma ci sono voluti molti spostamenti per riconfermare questa centralità. Nulla può dare l’idea dei mutamenti per mortalità e migrazione più di un’occhiata alle mappe di Eurostat, il cui link è citato in fondo, che consiglio di guardare. A parole si possono descrivere alcuni aspetti.
Se si guarda ai singoli paesi si trovano situazioni assai diverse. Ci sono paesi, di antica immigrazione, come la Francia e l’Inghilterra, in cui il saldo naturale medio è vicino a zero e c’è un aumento tendenziale grazie all’immigrazione. In Italia, per il saldo naturale negativo (le morti sono più delle nascite) la popolazione diminuirebbe di qualche per mille l’anno, un po’ meno di mezzo punto percentuale, se non ci fosse il saldo positivo della migrazione (ma il sud invece ha negativo anche il saldo migratorio, in particolare peri giovani, e perciò ha la popolazione in declino, e in invecchiamento rapido).
La Polonia, che è stata spostata di mezzo migliaio di chilometri verso occidente con la guerra, ha ritrovato un equilibrio demografico, ed economico anche grazie al trasferimento di aziende occidentali. E così la Cekia, che è un vecchio paese industriale. Ma i paesi baltici, che hanno avuto una storia politica e demografica recente nota e travagliata quanto quella polacca (l’occupazione tedesca, lo stermino degli ebrei, l’occupazione e l’immigrazione russa) sembrano invece totalmente squilibrati. Sono paesi piccoli: Estonia, nel 2013, un milione e 300 mila abitanti; Lettonia due milioni; Lituania meno di tre milioni. Sommano un saldo naturale e un saldo migratorio negativi. Hanno avuto un vero crollo della popolazione in poco più di 20 anni: meno 700.000 in Lituania e Lettonia; meno 350.000 in Estonia. Anche in Romania e Bulgaria si sommano tasso migratorio e tasso naturale negativi. La popolazione diminuisce più o meno del sette per mille l’anno.
Verso dove emigrano i baltici, i rumeni, i bulgari? Soprattutto verso Occidente. Ma gli estoni anche in Finlandia; i bulgari anche in Turchia. Il saldo migratorio con la Russia è invece più o meno stabile, malgrado le difficoltà per chi parla la lingua della ex-potenza dominante.
La diminuzione della percentuale dei russofoni dipende dalla scelta di imparare il lettone e l’estone per mantenere la casa e guadagnare di più. Fino a che, con la crisi finanziaria del 2008, il Pil lettone non è diminuito di un quarto. Essere la frontiera della Nato verso Oriente non basta a creare una società. A chi voglia approfondire i mutamenti demografici (e sociali) della Francia si può consigliare un bel libro di Hervé Le Bras e Emmanuel Todd, Le Mystère francais, Seuil, impossibile da sintetizzare perché grafici e tabelle sono più sintetici delle parole. È un bel quadro della deindustrializzazione del nordest, della crescita del sudovest, dello spostamento a destra del voto di chi lavora. La vera sorpresa per chi non faccia il demografo di professione è la Germania, la cui tenuta demografica si regge sulla immigrazione (sei milioni di residenti non cittadini; 16 milioni di cittadini residenti non nati in Germania, per lo spostamento dei confini e la immigrazione dei germanofoni dall’Est). La bassa fecondità in Germania comincia prima che in Italia. Perciò il saldo naturale è molto più negativo che da noi. L’intera Germania è l’area a più bassa natalità in Europa. E l’est, i cui abitanti si sono trasferiti ad ovest, è in spopolamento marcato.
È un vero "tramonto dell’Oriente” (europeo, s’intende). Livi Bacci, in una "lectio magistralis” tenuta all’Istat qualche mese fa e reperibile in rete, ha ammonito a non dare troppo peso alle previsioni demografiche di lungo periodo e al timore della scomparsa di intere popolazioni, salvo gruppi veramente minimi.
Perciò facciamo bene a non dare per scontato che l’Inghilterra e la Francia avranno una quindicina di milioni di abitanti più della Germania a fine secolo; a non temere la scomparsa culturale fisica dei baltici. Certo a chi abita la frontiera tra l’impero americano e la Russia lo stare sulle mura sta costando parecchio.
I dati: http://goo.gl/ZjjKyA