Giorgio Villa, psicoterapeuta e psichiatra, lavora presso il Dipartimento di Salute Mentale RM 11 a Roma. Ha insegnato Antropologia Culturale all’Università di Urbino.

Tu ti occupi di riabilitazione nel campo psichiatrico e psicologico. Cosa vuol dire riabilitazione?
Riabilitazione è una parola che da alcuni anni va molto di moda , si fanno convegni, c’è la proposta per un inserimento in un insegnamento universitario. Ma, forse, per chiarire il significato di riabilitazione va superato un pregiudizio fondamentale, quello della formazione medica, che prevede: una prevenzione primaria, cioè tutte quelle misure di igiene collettiva a cui dovrebbe essere sottoposta l’intera popolazione, dalle vaccinazioni alla cura delle acque, ai controlli sulla carne macellata, eccetera; dopodiché c’è la prevenzione secondaria, cioè la cura, che riguarda quella parte della popolazione che, sfuggita alla prevenzione primaria o, anche se sottoposta a prevenzione primaria, per agenti patogeni esterni o per debolezza costituzionale si ammala. Di questa parte si occupa il medico. Dopodiché una parte delle persone malate guariscono con difetto, quindi devono essere sottoposte a riabilitazione.
In pratica quando non si sa cosa fare si pensa alla riabilitazione, ma
in realtà la riabilitazione è tutt’altro e coincide più col concetto di manutenzione. Quanto più la società diventa complessa e quanto più la durata e la speranza di vita aumentano tanto più la quantità di pratiche volte alla manutenzione aumenta. Pensiamo soltanto ai nostri problemi odontoiatrici. Tanto più la popolazione vive a lungo, tanto più la nostra dentatura non tiene, per problemi filogenetici, per paradontopatie, per cattiva cura del dente. Chiaramente in una società con una speranza di vita di 40 anni, il problema della manutenzione dentaria sarebbe molto ridotto.
Ebbene, la manutenzione del dente comporta tutta una branca di specialisti che si occupano di protesi, di riparazioni, eccetera. Il problema della riabilitazione è quindi un problema molto complesso. In campo psichiatrico è reso ancora più complesso dal fatto che spesso noi, prima di avere il rapporto con una persona, dobbiamo consentire che questa persona, che rifiuta il trattamento, possa essere riabilitata alla possibilità di avere un rapporto.
Allora vorrei precisare alcuni criteri fondamentali della riabilitazione. La riabilitazione innanzitutto non si occupa di sintomi ma di funzionamenti. Non interessa, cioè, quale sia l’assetto psicopatologico, al limite anche la diagnosi in se stessa è meno importante, interessa molto di più che possano essere accessibili una o due aree sulle quali potersi incontrare. Per esempio una persona molto disturbata può avere l’interesse ad andare al mare, a lavorare il legno, a fare ginnastica. Dei nostri infermieri, opportunamente coordinati, negli ultimi sei mesi hanno gestito con un insegnante Isef un corso a Villa Pamphili ottenendo con un gruppo di nostri utenti - alcuni dei quali veramente molto problematici, molto violenti, un tempo si poteva dire anche pericolosi a sé e agli altri - dei risultati stupefacenti, articolando, alla fine di questi incontri, anche una piccola partita di calcio. Si è, cioè, realizzato un gruppo finalizzato al fare insieme qualche cosa, all’interno di un programma disegnato dall’insegnante Isef.
Allora, qual è l’obiettivo generale della riabilitazione in campo psichiatrico? E’ di consentire a una persona di vivere, di abitare, di imparare, di avere amici e anche di lavorare in un ambiente di sua scelta. Un secondo obiettivo, di più lungo periodo, è quello di consentire a una persona di sviluppare al massimo la componente non professionale dei suoi supporti, dei suoi ausilii, incrementando quindi il numero di amici, tutte le pratiche preventive, i sistemi di autoaiuto e diminuendo progressivamente la percentuale di interventi specialistici. Per fare un esempio: un paziente psichiatrico grave che viene da noi, e col quale dopo una lunga fatica l’équipe riesce a stabilire un rapporto, chiede tutto alle persone, persone che sono per lui gli unici mediatori del rapporto con un mondo in cui, altrimenti, tutto è perturbante ed aggressivo. Nel tempo l’obiettivo è che questa persona e i suoi familiari abbiano una maggiore capacità di potere e di contrattualità, e possano avere quindi un rapporto diretto con il medico di fiducia, con le agenzie sociali, in modo da poter riscuotere la pensione senza la mediazione dell’assiste ...[continua]

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