Puoi raccontarci com’è nata la cooperativa?
T.E.R.R.E. nasce come progetto lavorativo, supportato da motivazioni politiche molto forti. Una decina di anni fa, quando abbiamo cominciato a ragionare su cosa fare da grandi, sostanzialmente, eravamo quattro amici appena laureati in fisica: ci si muoveva intorno a questioni di cooperazione internazionale, tecnologie appropriate e così via. Ragionavamo su dove e come mettere a frutto delle conoscenze che erano state costruite faticosamente, in cinque-sei anni di università. Era già abbastanza palese che continuare a studiare e lavorare nell’università non sarebbe stato possibile, se non attraverso le classiche, pesantissime mediazioni con le baronie accademiche. D’altra parte, la prospettiva più in voga all’epoca, e penso anche adesso, era andare a fare il programmatore per qualche multinazionale, ma nessuno di noi si rispecchiava in questo tipo di scelta. Eravamo attivi, anche se in campi diversi, sia nel mondo della cooperazione, che in quello della politica generale. Stiamo parlando del ‘95-96, una decina di anni fa. L’idea era: mettiamo su un gruppo che si occupi di energie rinnovabili e tecnologie appropriate, che abbia come scopo quello di migliorare la condizione dei paesi in via di sviluppo. Ovviamente la preparazione era molto più teorica, rispetto a cose di questo tipo, che avevano un riscontro pratico. Decidemmo di specializzarci: un anno di formazione in giro per l’Europa. A me è costato lacrime e sangue... sono stato in Inghilterra a fare un master dai costi spaventosi. Se non avessi avuto una serie di aiuti non ci sarei mai arrivato.
Quando un giovane laureato va all’estero, a un certo punto arriva il momento della scelta: rimanere o tornare in Italia con tutte le incertezze del caso…
All’estero forse hai più possibilità, anche sul piano economico. La nostra scelta è andata in un’altra direzione, perché per noi l’aspetto economico era relativamente in secondo piano. Non scegliamo ragionando sui consumi. Io ho una formazione di alto livello: vedo gli amici laureati con me, quelli che non hanno fatto la mia scelta per mille motivi: ora stanno in posizioni per cui arrivano a prendere anche 3000 euro al mese. Ecco, rispetto alla mia voglia di consumare -che si riduce a cibo buono e qualche libro- sarei comunque portato a contrattare, e su 40 ore alla settimana per 3000 euro al mese, chiederei di lavorarne 20 prendendo 1500 euro. Purtroppo però il mercato non funziona così: sono altri i criteri con cui vai a valutare le cose. Per noi il discrimine fondamentale sono la voglia di lavorare in questo campo, la quantità di tempo di vita che vuoi che ti rimanga oltre al tempo di lavoro e la possibilità di influire nella definizione degli obiettivi della struttura in cui lavori, di sperimentare le idee. Essere artefici della propria strada. Per me questo non è contrattabile.
Dunque, al vostro ritorno in Italia…
Si sviluppa il progetto Lita, “Laboratorio Itinerante Tecnologie Appropriate”. Sostanzialmente si trattava di un progetto di cooperazione decentrata, finanziato dagli enti locali (che sono obbligati a destinare una porzione di bilancio a progetti specifici di cooperazione) e diretto ad una comunità zapatista in Chapas. Parte così il progetto per costruire un impianto idroelettrico per l’illuminazione di un villaggio di 800 persone.
Il secondo progetto lo attiviamo nel 1998. Avevamo partecipato al bando del Comune di Roma per il giubileo e vinto un finanziamento di 100 milioni a fondo perduto, quello che adesso chiamano “start up di impresa”. Dei soldi, una parte l’abbiamo destinata a libri e strumenti, ed un’altra è andata a finire in quella che noi chiamiamo “anomalia di impresa”. Noi provenivamo tutti dai centri sociali. Avevamo e continuiamo ad avere una serie di relazioni forti col centro sociale La Torre, a Roma, e così abbiamo deciso di proporre loro la realizzazione di un centro dimostrativo per le energie rinnovabili ed il risparmio energetico, da ricavare all’interno della loro struttura. L’idea è piaciuta, e abbiamo cominciato a metterci dentro un po’ di soldi.
Questo pr ...[continua]
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