Serge Latouche è stato intervistato nell'ambito della seconda edizione de "Aegusa philosophiana. Una filosofia d’a-mare”, tenutasi a Favignana (Trapani) a maggio 2015.

È un brutto momento per l’Europa e per il mondo. Cosa può dire la teoria della decrescita alla gente sfiduciata?
Che dobbiamo imparare dai greci il senso del limite. Abbiamo uno stomaco da riempire, sete di acqua e di buon vino da soddisfare; il cibo e le bevande che sorpassano i nostri bisogni sono in eccesso, sono un eccesso. L’illuminismo e il positivismo hanno eretto la crescita continua, illimitata, a meta dell’umanità: questa è , secondo la saggezza degli antichi filosofi, ybris, tracotanza. Aristotele distingueva l’economia dalla crematistica: la prima produceva la ricchezza necessaria (che non è mai né troppo né troppo poco); la seconda perseguiva l’arricchimento fine a se stesso, potenzialmente indefinito. È urgente recuperare questa differenza se non si vuole precipitare nel baratro. Qualcuno parla di "decrescita felice”: personalmente non pretendo che la decrescita ci regali "felicità”, mi basterebbe che ci consentisse la serenità.
Prima di teorizzare la decrescita, negli anni giovanili sei stato un comunista marxista. In che rapporto stanno le tue idee di oggi con quelle di ieri?
Con una battuta di Bernard Shaw, potrei rispondere dicendo che se a vent’anni non si è comunisti, non si ha cuore e che, se lo si è oltre i quaranta, non si ha testa. Fuori dall’umorismo, dico che sono stato comunista e ho molti marxisti fra i miei interlocutori attuali. Quando discuto con loro è quasi inevitabile sentirmi dire: "Marx sì, ma un certo Marx”. La storia del marxismo è costellata da questo ritornello: c’è sempre un altro Marx cui appellarsi quando delle tesi marxiste risultano indifendibili. Per la tematica che mi interessa, non c’è dubbio che Marx sia stato un produttivista; anche se si possono rintracciare, qua e là, delle critiche al modo capitalistico di intendere il lavoro. Ne ho discusso recentemente in un libro appena tradotto in italiano, Uscire dall’economia (Mimesis), con un marxista intelligente, Jappe Anselm. Ciò che chiedo ai marxisti di oggi è di non restare talmente prigionieri di un’ottica produttivistica da rendersi incapaci di una critica del lavoro quale senso e fondamento dell’esistenza umana. Bisogna partire da Marx, ma operando quell’aufhebung hegeliana che consiste nel negare qualcosa, nell’inverare ciò che essa contiene di valido e nell’oltrepassarla verso posizioni più vere.
Le nuove generazioni sembrano schiacciate dalla crisi che attraversiamo.
La mia generazione sapeva che, preparandosi a un mestiere, l’avrebbe potuto svolgere. Si era molto vicini alla piena occupazione. Con buone ragioni, molti giovani ritenevano che li aspettava un lavoro di merda con uno stipendio di merda: non certo la inoccupazione. La società dei consumi, come una droga, riusciva a far accettare condizioni di lavoro e di salario che, comunque, permettevano di comprare casa, mettere su famiglia e spesso anche acquistare l’utilitaria. Oggi questo compromesso è venuto meno. La disoccupazione è una tragedia, ma non ci deve far dimenticare che in passato anche molti tipi di occupazione lo erano.
Ai giovani che si chiedono che fare, rispondo: innanzitutto prova a pensare con la tua testa. La crisi che attraversiamo (economica, finanziaria, sociale, culturale) potrebbe insegnarci la necessità di pensare da sé, sapendo che non c’è più una strada prefissata. Se fossi un giovane, mi comprerei un giardino e mi preparerei al disastro imminente. Molti giovani, invece, preferiscono iscriversi alla Bocconi e prepararsi a saper fare speculazione in Borsa: facciano pure, ma non si stupiscano se resteranno delusi. Siamo davanti a un bivio: o decrescita o barbarie (e che questa formula richiami la precedente "o socialismo o barbarie” non è un caso, perché la decrescita è una forma di socialismo ecologico). Per fortuna, non tutte le generazioni sono istupidite dalle false promesse del capitalismo: nel mondo ci sono giovani che si dedicano all’agricoltura ecologica, che creano Gas (gruppi di acquisto solidali), che si organizzano in associazioni di difesa dell’ambiente e di sperimentazione di nuove modalità di lavoro. È molto probabile che non diventeranno ricchi nel senso finanziario, come i loro coetanei che si impadroniscono dei meccanismi bancari: ma, a differenza di questi ultimi, è molto più probabile che trovino un senso della ...[continua]

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