Andrea Membretti, Senior Researcher presso Eurac (Bolzano) e Istituto per lo Sviluppo Regionale, insegna Sociologia del Territorio all’Università di Pavia. È tra i promotori della rete internazionale ForAlps (Foreign immigration in the Alps - www.foralps.eu) e socio di Dislivelli (Torino). Tra le sue ultime pubblicazioni, Per forza o per scelta. L’immigrazione straniera nelle Alpi e negli Appennini (a cura di, con Ingrid Kofler e Pier Paolo Viazzo, Aracne, 2017) e Montanari per forza (con Maurizio Dematteis e Alberto Di Gioia, Franco Angeli, 2018).
 
Qualche anno fa avete iniziato a studiare i "nuovi montanari”, cioè gli italiani che tornano in montagna, scoprendo che la popolazione che più sta contribuendo al ripopolamento di Alpi e Appennini sono in realtà gli immigrati.
Alla base delle nostre indagini c’è il tema dello spopolamento delle aree montane interne del nostro paese e al contempo l’interesse per come la presenza di nuove popolazioni sta creando delle occasioni di rivitalizzazione di questi territori e di queste comunità. Le popolazioni in questione sono costituite dai cosiddetti "montanari per scelta”, gli italiani, ma anche dai "montanari per necessità”, i migranti economici, che da un punto di vista numerico sono la quota maggioritaria. Considera che nel solo arco alpino italiano abbiamo quasi quattrocentomila residenti stranieri regolari. Infine c’è la presenza più recente dei richiedenti asilo, che abbiamo definito "montanari per forza”. A inizio 2017, sui circa 130.000 ospitati, il 40% era in aree montane, Alpi e soprattutto Appennini.
Partiamo dai "nuovi montanari”, chi sono?
Quelli che consideriamo i nuovi montanari sono persone che vanno in montagna per sviluppare un progetto di lavoro e di vita. Non sono pertanto dei commuter, dei pendolari sulle aree metropolitane, anche se mantengono un rapporto spesso intenso con la metropoli di origine, perché lì hanno reti relazionali, vendono i loro prodotti, fanno parte di circuiti di tipo culturale, di reti associative. Numericamente i nuovi montanari sono una componente ristretta anche se in crescita.
Da poco è partito il progetto "Vado a vivere in montagna”, messo in piedi a Torino col supporto della Compagnia di Sanpaolo, il coinvolgimento del Collegio Carlo Alberto e di altri attori. Questo servizio, come dice il nome, mira a favorire l’insediamento nelle aree montane (per il momento solo in Piemonte) di nuovi abitanti aiutandoli a crearsi un’occasione di vita sostenibile. 
La popolazione coinvolta è variegata: abbiamo avuto ad oggi oltre 120-130 contatti. Io mi occupo del primo colloquio e ho incontrato un’ottantina di persone in questi mesi. Stiamo seguendo al momento una trentina di idee progettuali. 
L’età e le condizioni di queste persone sono molto diverse; andiamo da un minimo di 19 anni a un massimo di 63-64 anni, quindi prepensionati. Anche i titoli di studio sono variegati. Sicuramente sono persone accomunate dal desiderio di avere un’esperienza di vita diversa rispetto a quella urbana, vuoi perché sono giovani che hanno studiato e vogliono un altro orizzonte rispetto a quello della fuga dei cervelli o di percorsi più canonici; vuoi perché sono persone meno giovani che sono state espulse dal mercato del lavoro o si sono autoespulse (c’è una componente abbastanza rilevante legata alla crisi economica); vuoi perché sono persone che iniziano ad avere una certa età, hanno qualche risorsa economica e vogliono provare a investirla pensando a un invecchiamento attivo, avviando un bed and breakfast nella baita di montagna o impegnandosi in qualche attività ricettiva. C’è anche chi è già in montagna e vuole riqualificare la propria attività, magari legandola all’economia sociale. 
Come dicevo, quello dei nuovi montanari è un fenomeno numericamente ridotto, ma con molte potenzialità in termini di sviluppo, ed è cresciuto in questi anni in seguito alla crisi economica, ma anche per rispondere alla crisi culturale e valoriale che stiamo attraversando in questi anni. 
I nuovi montanari stanno sperimentando anche forme di innovazione socio-economica interessanti, su cui ci sarebbe da fare un grosso lavoro in termini di normativa. Purtroppo qui scontiamo un’assenza pressoché totale delle politiche. L’Unione ...[continua]

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