Quando vi siete resi conto della necessità di un intervento psichiatrico, al fianco dei colleghi che si occupano dei trapianti dal punto di vista medico?
Nel 1984 ci segnalarono il caso di una ragazzina di tredici anni trapiantata di cuore. Si trattava del primo trapianto effettuato qui a Padova su un bambino e in quell’occasione per il gruppo di colleghi con cui lavoravo risultò subito evidente il profondo impatto psichico che il trapianto di un organo ha sull’identità di una persona, in particolare durante l’età evolutiva, che è un momento delicato, di continuo rimaneggiamento del sé. L’accompagnamento psicologico dei giovani trapiantati dunque è indispensabile, ma anche complesso, perché bisogna prestare attenzione particolare non solo al vissuto del bambino, ma anche alla famiglia nel suo insieme, ai genitori, ai fratelli, all’ambiente in cui vive.
La famiglia è importante anche per il trapiantato adulto, ma nel bambino la dipendenza è assolutamente vitale, per cui dobbiamo tenere presente il funzionamento delle singole famiglie, verificando se c’è una sufficiente stabilità, ma anche una mobilità interna tale da permettere ai genitori di organizzarsi differenziando i ruoli, a seconda delle esigenze del bambino e dei vari momenti. Sappiamo che sostenendo la famiglia là dove avvertiamo delle difficoltà, aiutiamo il bambino.
Concretamente il vostro intervento come si svolge?
Il nostro intervento segue una procedura ormai sperimentata da tempo e che si sviluppa nella fase pre e post-trapianto. Riceviamo la segnalazione dei nuovi pazienti in attesa di trapianto quando vengono messi in lista. La comunicazione della messa in lista è un momento cruciale, perché non sempre i genitori sono preparati ad accettare questa proposta, la considerano un’ultima spiaggia e al contempo una soluzione magica, perché intuiscono che altrimenti il bambino potrebbe morire.
A questo punto anche i genitori riluttanti, essendo spaventati, sono portati a dare una risposta positiva, magari però tenendosi dentro tutti i dubbi, le fantasie e le paure che, per il medico che ha il compito di dare la comunicazione, sarebbe molto difficile raccogliere. Già da questo primo momento allora è importante che ci sia un altro spazio dove dubbi e angosce vengono raccolti e trasformati al fine di dare un senso a quello che sta succedendo, oltre che per sollevare la famiglia dai sensi di colpa. Non bisogna infatti dimenticare che, nel caso dei bambini, la responsabilità della scelta cade interamente sui genitori.
Avere un contatto prima dell’intervento è essenziale anche perché quando il bambino viene chiamato per il trapianto, avviene tutto all’improvviso, si crea una situazione d’urgenza, non c’è tempo. Il periodo che intercorre tra la lista d’attesa e la chiamata infatti è sempre carico di ansia perché c’è una sospensione: si sa che succederà, ma non si sa quando. Quando arriva la chiamata, i preparativi sono vorticosi, perché in pochissimo tempo, anche se ci si trova a grande distanza, bisogna precipitarsi, magari di notte, con mezzi d’emergenza, anche in elicottero.
I genitori tentano di trasformare tutto questo in un gioco, in un’avventura, anche se poi in genere sono molto angosciati e non è facile nasconderlo, soprattutto a un bambino. Infatti i bambini di solito conservano un ricordo molto vivo di questo viaggio concitato.
Il primo incontro con noi, a seconda delle fasi e dell’età del bambino, può avvenire insieme ai genitori, oppure in un momento separato; in questo caso gli strumenti che utilizziamo sono il gioco, il disegno o anche la parola se il bambino è in grado di esprimersi verbalmente, l’obiettivo è accogliere i suoi pensieri e le sue fantasie su ciò che sta accadendo.
Subito dopo il trapianto comincia un periodo di permanenza in terapia intensiva, in una condizione d’isolamento, o semi-isolamento: i genitori sono ammessi solo in alcune ore, per brevi visite. Questo è uno dei momenti più difficili, e sarebbe utile che i bambini, per quanto possibile, fossero preparati al ritrovarsi da soli, col corpo esposto alle pratiche medico-infermieristiche senza protezione, attaccati alle macchine. Il risveglio dev’essere terribile, come ripiombare in un incubo! Per fortuna non dura ...[continua]
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