Da Lampedusa al Brennero - page 4

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Judith Gleitze è stata amministratrice del
Consiglio per i rifugiati di Brandeburgo,
Ong tedesca che si occupa dei diritti di pro-
fughi e rifugiati. Ha partecipato alla crea-
zione di Borderline-Europe e nel 2009 è stata
tra le fondatrici di Borderline Sicilia. Gio-
vanna Vaccaro è responsabile per Borderline
Sicilia del monitoraggio nella Sicilia centra-
le (Caltanissetta, Agrigento, Messina).
Ti occupi di rifugiati da 20 anni.
Judith.
È stato intorno alla metà degli anni
Novanta che abbiamo capito che l’arrivo dei
rifugiati in Europa stava diventando un
tema cruciale. All’epoca i rifugiati venivano
prevalentemente dall’Est, c’erano i rifugiati
ceceni che arrivavano dalla Russia, passan-
do per la Polonia e quel confine era sempre
più vicino. Alcuni colleghi infatti si sono
presto spostati a Est, verso la Polonia, l’U-
craina; io invece ho preso la direzione dell’I-
talia. È stato in quel contesto che abbiamo
creato Borderline-Europe.
All’ultima riunione, la settimana scorsa,
c’erano quindici volontari, in più lavoriamo
in due a tempo pieno ma sempre pagati per
massimo 10 ore la settimana. Oltre a me,
Harald Gloede a Berlino. Come volontari,
che lavorano regolarmente con noi, c’è l’ex
comandante della Cap Anamur, Stefan Sch-
midt, che sta a Lubecca, ed Elias Bierdel,
responsabile del Comitato umanitario Cap
Anamur.
La Cap Anamur è stato dunque un
evento cruciale nella vostra storia.
Puoi ricordare?
Judith.
La Cap Anamur è stata quel che si
dice la goccia che ha fatto traboccare il vaso;
a quel punto non si poteva più rimandare
questa nostra idea di fare un’associazione
che si occupasse dei confini europei, della
Fortezza Europa.
Ricordo brevemente i fatti: nel 2004, la nave
dell’omonima associazione umanitaria te-
desca Cap Anamur era diretta in Iraq per
portare attrezzatura ospedaliera. Era diret-
ta verso il canale di Suez, ma nei pressi di
Malta ci fu un guasto che venne riparato.
Rimessisi in viaggio, durante un giro di pro-
va, la Cap Anamur si imbattè, per caso, in
un gommone alla deriva tra la Libia e Lam-
pedusa con trentasette profughi subsaha-
riani. Li salvarono.
Da quel momento si scatenò un putiferio
incredibile. Nessun porto infatti li voleva
accogliere. L’Italia diceva che erano stati
trovati nelle acque di Malta e quindi tocca-
va a loro... Soltanto 21 giorni dopo, la nave
ottenne il permesso di attraccare a Porto
Empedocle, Agrigento e quei trentasette di-
sgraziati sbarcarono così in Italia, ma furo-
no quasi tutti espulsi in Nigeria e in Ghana.
Solo uno o due rimasero.
Il presidente dell’associazione umanitaria
Cap Anamur, il comandante e il primo uffi-
ciale della nave vennero arrestati e subirono
un lungo processo. L’accusa era favoreggia-
mento dell’immigrazione clandestina: incre-
dibile!
Seguii personalmente l’iter giudiziario, che
fu terribile perché distrusse la vita di queste
persone: non avrebbero più potuto lavorare.
In Germania infatti c’era stata anche una
dura campagna mediatica contro di loro.
A quel punto ci siamo detti: “Dobbiamo crea-
re un’associazione che si occupi di queste
cose”. Avendo nel frattempo conosciuto l’ex
Comandante e il capo del comitato, abbiamo
loro proposto: “Voi siete conosciuti, non vor-
reste venire a fare un’associazione con noi?”.
Ecco, Borderline-Europe è nata così.
Quando è iniziato invece il vostro im-
pegno in Sicilia?
Judith.
Ero già venuta in Italia, sia come
Borderline-Europe, ma ancora prima per il
Consiglio dei rifugiati. Da metà degli anni
Duemila, come dicevo, ho seguito il processo
alla Cap Anamur e così ho intanto conosciu-
to Germana, che è appunto di Agrigento e fa
l’avvocato. Assieme abbiamo seguito diversi
progetti anche sui minori non accompagna-
ti. Dopo qualche tempo però questo andiri-
vieni non era sostenibile e allora ho deciso di
trasferirmi in Sicilia e mettere su un grup-
po, che è diventato poi Borderline Sicilia.
Nel 2007 sulla spiaggia della riserva di Ven-
dicari vennero ritrovati i corpi di diciassette
persone. Erano egiziani e palestinesi, vitti-
me del naufragio di una piccola imbarcazio-
ne partita dall’Egitto. Per noi era qualcosa
di inaccettabile che delle persone potessero
morire così senza nemmeno si sapesse chi
fossero. Riuscimmo a recuperare i nomi e,
assieme ai parenti arrivati, organizzammo
una commemorazione che si è poi ripetuta
per diversi anni, sempre a novembre. Da lì è
nata l’associazione vera e propria.
Nel 2011 è arrivata l’emergenza Norda-
frica...
Judith.
Con l’arrivo dei primi rifugiati,
abbiamo deciso di aprire un blog per do-
cumentare quello che succedeva in Sicilia.
All’inizio accettavamo il contributo di tutti
quelli che volevano scrivere. Se un ragazzo
ci diceva: “Vengo in Sicilia a luglio-agosto, a
Lampedusa, avete un lavoro per me?”. “Sì:
monitoraggio”. C’era una sorta di vademe-
cum su come scrivere, però, con tante perso-
ne diverse era difficile avere uno stile omo-
geneo, per cui c’era chi la prendeva larga:
“Abbiamo preso il tè con le immigrate...” e
chi faceva un report fin troppo conciso, testi
molti diversi.
Abbiamo subito creato anche dei blog con
i testi in inglese e tedesco, per una distri-
buzione più ampia. Una fondazione ci ha
sostenuto per un anno per le traduzioni in
inglese. Il blog tedesco, fin dall’inizio, ha
funzionato solo con i volontari coordinati da
una nostra collega.
Nel 2013, abbiamo deciso di cambiare me-
todo e di cercare delle persone responsabili
per le varie zone, così oggi abbiamo Alberto
per la Sicilia occidentale, Elio per la Sicilia
orientale e poi Giovanna che gira nel mezzo,
Caltanissetta, Agrigento, Messina. Infine ci
siamo noi tre, Germana e Paola come avvo-
cate e io come coordinatrice, che individuia-
mo i luoghi dove andare a monitorare.
Ma cosa significa concretamente moni-
torare?
Judith.
Il problema è che noi -a parte poche
eccezioni- non abbiamo accesso ai centri.
Solo dopo un lungo iter di autorizzazione
a volte ci viene concesso. Questo evidente-
mente non aiuta. A dicembre 2013 ho ac-
compagnato una deputata del parlamen-
to tedesco, che voleva entrare a Mineo e
all’Umberto I di Siracusa, così sono potuta
entrata anch’io. Quando è possibile cerchia-
mo di accompagnare chi ha accesso: giorna-
listi, politici, ecc. Altrimenti ci rechiamo in
loco e parliamo soprattutto con gli immigra-
ti che escono. Elio, Beatrice (fino a novem-
bre 2014) e Lucia si recano al porto quando
sanno dell’arrivo di una nave ma anche il
monitoraggio in questo senso non è facile.
Per esempio, già ad Augusta non è possibile
entrare nel porto. Per questo, per raccoglie-
re informazioni è molto importante anche
parlare con gli operatori di Praesidium, cioè
Acnur, Oim, Save the children e Croce Ros-
sa. Oppure cerchiamo contatti con persone
in loco. Per noi è sempre importante valo-
rizzare le risorse locali che ci sono nei vari
contesti e fare un lavoro continuo nei terri-
tori per creare e rafforzare la rete. In questi
anni sono entrata diverse volte, sia a Salina
Grande che a Trapani, Lampedusa, Mineo.
Il fatto è che devi sempre chiedere. A un
certo punto poi era diventato letteralmente
impossibile, perché era uscita una circolare
in base alla quale nessuno poteva più entra-
re. La ministra Cancellieri l’ha ritirata, però
l’iter è rimasto sfiancante. Funziona così: tu
chiedi il permesso, la richiesta viene inoltra-
ta alla prefettura competente, Caltanisset-
ta, Mineo, Catania, dipende, dopodiché loro
la mandano a Roma e Roma decide. È un
iter troppo lungo.
Non vi limitate a raccogliere informa-
zioni e inserirle nel blog, cercate an-
che, laddove possibile, di cambiare le
cose. È un “monitoraggio attivo”.
Judith.
La nostra informazione è anche
Monitorare
l’indifferenza
per noi era qualcosa di inaccettabile
che delle persone potessero morire
così, senza nemmeno sapere chi fossero
la nostra informazione è anche
sempre una denuncia:
quello che vediamo lo scriviamo
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