Da Lampedusa al Brennero - page 5

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Era gennaio e un pomeriggio mi trovavo a
monitorare la situazione negli accampa-
menti insieme ai referenti dello Sportello
immigrati. Alcuni dei ragazzi che ormai
mi conoscevano hanno attirato la nostra
attenzione su un ragazzo. Era seduto su di
un materasso e un suo amico gli stava al-
lacciando le scarpe, mentre lui era in com-
pleto stato catatonico. A raccontarci tutta la
storia sono stati i suoi amici: M. era stato
ospite del Cara fino a qualche ora prima,
dallo scorso agosto. All’entrata al centro
aveva con sé una prescrizione del suo psi-
chiatra pachistano e degli psicofarmaci che
gli servivano per i suoi disturbi. All’entrata
nel Cara, come da prassi, tutti i medicinali
gli sono stati sequestrati dai militari all’in-
gresso e da quel giorno, in un posto in cui
M. non sarebbe neanche dovuto transitare,
nessuno si è più preso cura della sua vul-
nerabilità e neanche del malessere che, in
assenza della terapia, ha iniziato a manife-
starsi in maniera sempre più evidente, fino
allo stato catatonico in cui l’abbiamo trovato
noi. Gli amici ci hanno raccontato di aver
provato per settimane a segnalare il proble-
ma ai medici, ma che questi si limitavano
a dire: “Se non è lui a dirci che cos’ha, non
posso farci niente” e, poiché M. perdeva man
mano tutte le facoltà (gli si doveva dire “vai
in bagno, bevi, mangia”), non sapendo più
cosa fare lo hanno convinto a firmare una
rinuncia all’accoglienza per trovare il modo
di fargli raggiungere lo zio a Roma, per poi
provvedere a rimpatriarlo, perché neanche
lui sapeva cosa fare.
E così è stato dimesso dai responsabili
sempre una denuncia: quello che vediamo,
lo mettiamo. Se poi io vedo che c’è una per-
sona che da una settimana ha il braccio rot-
to e non viene curato, segnaliamo l’episodio
alla questura, alla prefettura, e poi pubbli-
camente. Avvisiamo i responsabili: “Se tu
non fai niente, noi lo dobbiamo rendere pub-
blico, mi dispiace”. Se serve? A noi interessa
che serva all’interessato. Poi è chiaro che
con queste azioni a volte succede che non
vogliono più parlare con noi.
Giovanna.
Il monitoraggio a Caltanisset-
ta era stato iniziato da tempo da Alberto,
il quale aveva già notato gli accampamen-
ti attorno al centro governativo la scorsa
estate. Al mio arrivo in ottobre la situazione
era peggiorata: erano ormai quasi duecen-
to i richiedenti asilo costretti a vivere negli
accampamenti attorno al centro governati-
vo in attesa di avere accesso all’istanza di
protezione, ma ora l’inverno era alle porte
e il freddo si faceva già sentire. Poiché, no-
nostante l’evidenza di questa realtà, istitu-
zioni e cittadinanza rimanevano totalmente
indifferenti, abbiamo deciso di affiancare
all’attività di monitoraggio (che eseguivo
anche rispetto alle condizioni all’interno del
centro governativo) una serie di iniziative
che da una parte potessero coinvolgere gli
autoctoni e attirare l’attenzione sugli ac-
campamenti, dall’altra potessero garantire
un supporto a queste persone abbandonate
a loro stesse… quanto meno dar loro un se-
gno di solidarietà.
Così è iniziata una prima attivazione della
rete attraverso una raccolta e distribuzio-
ne di indumenti, seguita dalle lezioni di
italiano negli accampamenti, e, infine, da
momenti di formazione sul tema del dirit-
to d’asilo con altre importanti realtà locali,
come, ad esempio, lo sportello immigrati
(retto da oramai dieci anni da quattro vo-
lontari). Nel corso di queste iniziative non
abbiamo comunque mai smesso di denun-
ciare la situazione sul nostro blog e anche
su altri quotidiani.
La condivisione di questa esperienza con le
altre realtà e con le persone che vivevano
negli accampamenti è stata molto impor-
tante, sia per promuovere una conoscenza
reciproca che per instaurare un rapporto
di fiducia con le persone che vivevano negli
accampamenti, anche dopo che queste sono
entrate nelle diverse strutture di accoglien-
za distribuite in tutta la provincia (in cui le
abbiamo ritrovate poi durante i monitoraggi
successivi).
Che cosa significa la vostra presenza
sul territorio?
Giovanna.
Vogliamo essere un punto di ri-
ferimento per coloro che non sanno a chi ri-
volgersi, dare evidenza a importanti lacune
istituzionali e intervenire concretamente
con azioni dirette o attraverso segnalazione
ad altre organizzazioni umanitarie.
Sono diverse le storie che potrei raccontare,
ma quella di M. è senz’altro quella che ha
segnato particolarmente i miei mesi a Cal-
tanissetta.
i viaggi sono tremendi,
possono durare settimane,
ma anche anni
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