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3. la fase attuale, che proprio mentre dichia-
ra di volere giungere a un effettivo sistema
unico di asilo in Europa mostra tutti i limi-
ti, gravissimi, di una mancata integrazione
tra i sistemi di protezione dei rifugiati nei
diversi stati dell’Unione e soprattutto la ra-
dicale mancanza di una politica europea di
più lungo respiro che fornisca risposte ai bi-
sogni di un numero di rifugiati in forte cre-
scita che fuggono da conflitti devastanti che
si svolgono in aree geografiche assai vicine
all’Europa, sia verso sud (Africa) che a est
(Medio Oriente).
Tra i molti limiti della politica europea (e
dei singoli paesi dell’Unione) in materia di
asilo, colpiscono in particolare i seguenti
aspetti:
- L’utilizzo distorto della nozione di prote-
zione sussidiaria (nozione giuridica in sé del
tutto positiva, introdotta per la prima volta
nel diritto UE dalla Direttiva 2004/83/CE e
oggi dalla Direttiva 2011/95/UE) al fine di
indebolire di fatto la portata applicativa del-
la nozione di rifugiato prevista dalla Con-
venzione di Ginevra.
- L’adozione di misure drastiche di controllo
delle frontiere, contrasto all’immigrazione
irregolare con esternalizzazione dei control-
li stessi, attraverso accordi con i paesi “di
transito”, anche laddove ci si trovi di fronte
a regimi autoritari. Si tratta di accordi poli-
tici intergovernativi spesso sottratti a ogni
controllo democratico e di misure di polizia
dai confini e dal mandato indefinito, sottrat-
te a un vero controllo giurisdizionale.
- L’accanimento nel voler ancora utilizzare
una norma palesemente iniqua e inefficace
adottata sulla base di un approccio squisi-
tamente ideologico quale fu la Convenzione
di Dublino da cui si sviluppò il successivo
Gianfranco Schiavone è componente del di-
rettivo dell’Asgi (Associazione per gli Studi
giuridici sull’immigrazione) di Trieste.
Il sistema di asilo in Europa oscilla costan-
temente tra due opposti: da un lato l’affer-
mazione, contenuta nella Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione (art. 18) e in altri
strumenti di diritto dell’Unione, dell’asilo
come di un diritto fondamentale della per-
sona; dall’altro la pulsione costante, specie
in momenti di acute crisi, ad attuare, anche
se in modo dissimulato e indiretto, delle po-
litiche volte a ridurre il numero dei rifugiati
nella UE attraverso misure di contrasto al
loro arrivo nel territorio dell’Unione.
Dal 1951, anno di adozione della Conven-
zione di Ginevra, ad oggi si possono iden-
tificare, in modo molto schematico, tre fasi
nell’evoluzione del diritto d’asilo in Europa.
1. Una fase, temporalmente molto lunga, che
va appunto dal 1951 al 1990 caratterizzata
sul piano politico dall’assenza di una poli-
tica comune in materia di asilo e sul piano
giuridico dal riferimento alla sola nozione di
rifugiato contenuta nell’art. 1 della Conven-
zione di Ginevra, non idonea a rispondere
alle migrazioni forzate dovute a violenze in-
discriminate in situazioni di conflitto;
2. una seconda fase caratterizzata dal lento
avvio di una armonizzazione delle normati-
ve sul diritto d’asilo nella UE, con l’adozio-
ne di standard comuni (all’inizio minimi) su
“qualifiche”, procedure d’accoglienza e con
l’introduzione della assai discussa norma
(prima sotto forma di Convenzione, poi di
Regolamento) volta a definire i criteri per
individuare lo stato competente a esamina-
re la domanda di asilo in Europa (oggi cd.
Regolamento Dublino III);
Regolamento Dublino II (Reg. 343/2003) e
l’attuale Regolamento Dublino III. La Con-
venzione di Dublino nacque con l’obiettivo
formalmente dichiarato di “evitare situa-
zioni che lascino troppo a lungo un richie-
dente l’asilo nell’incertezza quanto all’esito
della sua domanda e desiderosi di dare a
ogni richiedente l’asilo la garanzia che la
sua domanda sarà esaminata da uno Stato
membro e di evitare che i richiedenti l’asi-
lo siano successivamente rinviati da uno
Stato membro a un altro senza che nessuno
di questi Stati si riconosca competente per
l’esame della domanda di asilo”. Ben al di
là degli obiettivi dichiarati, l’obiettivo reale
della convenzione fu quello di intervenire,
con una norma draconiana che eliminava
del tutto la libertà del richiedente di sceglie-
re il paese europeo in cui chiedere asilo, per
riequilibrare il carico dell’accoglienza dei
richiedenti asilo all’interno dei paesi della
(allora) Comunità Europea; uno squilibrio
lampante posto che all’inizio degli anni No-
vanta dell’altro secolo i paesi della comunità
(e specie i paesi del sud Europa) che aveva-
no confini esterni, ricevevano e trattavano
un numero medio anno di domande di asilo
assolutamente irrilevante rispetto ai paesi
del nord e del centro Europa. La risposta al
problema reale dato da questo squilibrio nel
carico delle domande di asilo nei diversi pae-
si UE non venne però trovata, come dovreb-
be essere di regola nel Diritto, attraverso un
bilanciamento tra i diritti di libertà del ri-
chiedente asilo e l’applicazione del principio
di solidarietà interna all’Unione in relazio-
ne alla ripartizione del carico delle domande
di asilo, quindi elaborando norme che da un
lato limitassero (non eliminandola quindi
alla radice) la libertà del richiedente nello
scegliere il paese di asilo e dall’altra impri-
messero una accelerazione al processo di ar-
Negare non equivale a impedire
Schematici appunti
Reprimere il traffico di esseri umani è un’a-
zione necessaria e indifferibile, da attuare
con la massima severità, ma che rischia
di rivelarsi clamorosamente insufficiente.
Che ne sarebbe, infatti, di quelle centina-
ia di migliaia di persone che si rivolgono
ai trafficanti per trovare una via di fuga e
un’opportunità di vita, se non adottassimo
strategie legali e sicure per garantire loro
una via di salvezza? Quelle strategie legali
e sicure sono alla nostra portata. Difficili,
difficilissime, ostacolate da massicce resi-
stenze politiche, e tuttavia le uniche ragio-
nevoli, concrete e praticabili.
Innanzitutto va ripristinata, e nel più bre-
ve tempo possibile, la missione Mare No-
strum, con quelle stesse responsabilità e con
quelle stesse competenze, come iniziativa di
dimensione europea; e, dunque, con il coin-
volgimento -in risorse economiche, uomini
e mezzi- di tutti i paesi membri. Un’opera-
zione che, come quella svolta in precedenza
dalla Marina italiana, dovrebbe perseguire
tre compiti essenziali: interventi di soccorso
e salvataggio; azioni di filtro sanitario e di
sicurezza, realizzate già a bordo; misure di
contrasto del traffico di esseri umani, a par-
tire dal sequestro delle navi madre, dalla
distruzione dei barconi intercettati. è neces-
sario, inoltre, rimuovere tutti gli ostacoli di
natura esclusivamente politica che impedi-
scono all’Europa di garantire protezione ai
profughi, senza che questi siano costretti a
rischiare la vita nel Mediterraneo e a ricor-
rere ai trafficanti di morte. In altre parole
si deve realizzare, in tempi rapidi, un piano
di «ammissione umanitaria», che preveda
l’anticipazione della richiesta di asilo già
nei paesi in cui si addensano e transitano
i flussi migratori. Si tratta di istituire in
quei paesi -laddove è possibile e dove già
qualcosa in questo senso è in atto come in
Giordania, Libano, Egitto e nel Maghreb-
un sistema di presidi realizzato dalla rete
diplomatico consolare dei paesi dell’Unione
e del Servizio europeo per l’azione estrema,
insieme a Unhcr e alle altre organizzazioni
umanitarie internazionali. Qui i profughi
potrebbero essere accolti temporaneamente
per poi essere trasferiti con mezzi legali e
sicuri nel paese europeo in cui chiedono asi-
lo, secondo quote di accoglienza concordate
tra gli stati membri. Un piano da affianca-
re e combinare ad altre proposte allo stesso
modo concrete e praticabili, quali il rein-
sediamento, l’ingresso protetto e i corridoi
umanitari. Tutto ciò è terribilmente arduo
e richiede una vera e propria lotta politica
a livello europeo. Ma è la sola alternativa a
un’ecatombe senza fine.
Luigi Manconi
(tratto da “Il manifesto”, 23 aprile 2015)
E i profughi intanto che fine fanno?