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questo caso, è abbastanza accogliente: se
può, li aiuta. Così come nel caso delle fa-
miglie siriane con bambini, quasi sempre
la gente si mobilita, raccoglie delle cose, le
ospita nelle parrocchie...
Tra Unione Europea e Nordafrica è at-
tualmente in corso una partita molto
grossa che riguarda gli “accordi di par-
tenariato”. Può spiegare?
Tali accordi sono già stati stipulati con il
Marocco, la Tunisia e la Turchia, che è un
paese del Mediterraneo, anche se non è nel
Nordafrica. La Turchia oggi è considerato
“paese di transito”, sta infatti diventando
strategico per il passaggio in Bulgaria e in
Grecia. Gli afghani, gli iracheni, ma anche
molti siriani, vista la difficoltà e la rischiosi-
tà della rotta dalla Libia, scelgono di andare
in Turchia e poi, da lì, seguire la rotta bal-
canica. Nel contempo, l’Unione Europea ha
avvertito l’esigenza di implementare tecni-
che di controllo di frontiera più evolute, più
avanzate, puntando a una maggiore collabo-
razione da parte dei paesi di transito, coin-
volgendoli nella cosiddetta esternalizzazio-
ne dei controlli di frontiera. Questi accordi
prevedono in cambio la possibilità, per i cit-
tadini di questi paesi, di entrare legalmente
con un visto d’ingresso, per ricerca di lavoro,
facilitando i ricongiungimenti familiari. La
Turchia evidentemente è molto interessata
al tema dei ricongiungimenti familiari per-
ché in Germania ci sono circa tre milioni di
cittadini turchi: aprire sui ricongiungimenti
vuol dire dare mobilità a mezza Turchia.
Noi siamo preoccupati perché tali accordi,
previsti adesso all’interno del cd. Processo
di Khartoum, consentono anche il rimpatrio
molto rapido di persone che, invece, potreb-
bero avere diritto a chiedere asilo in Euro-
pa. Penso alla Nigeria e al Sudan, all’Egitto
e al Libano. Penso ai curdi nel caso della
Turchia. È già successo in Grecia, con con-
seguenze devastanti: molti curdi sono stati
riportati indietro in Turchia, dove sono stati
internati in carcere, torturati e ammazzati.
Questo è un problema che l’Europa si do-
vrebbe porre, monitorando il livello di ri-
spetto dei diritti umani e le possibilità ef-
fettive di accesso alla procedura di asilo in
questi paesi. Sappiamo, ad esempio, che
molte persone vanno a chiedere asilo in Ma-
rocco poi, però, succede che la polizia maroc-
china fa una retata nella casbah di Rabat,
preleva queste persone, gli strappa in faccia
i documenti dell’Acnur e le porta alla fron-
tiera con l’Algeria, dove i migranti finiscono
preda delle bande di trafficanti che control-
lano le frontiere tra Algeria e Marocco. C’è
poi la situazione terribile di Ceuta e Melil-
la, dove adesso le autorità marocchine sono
state autorizzate a entrare per fare il lavoro
sporco che non può fare la polizia spagnola e
quindi anche a riprendersi i “suoi” migranti.
Ecco, tutto questo è il frutto degli accordi tra
Marocco e Spagna, nel quadro degli accordi
tra Marocco e Unione Europea.
È importante che il rapporto tra diritti uma-
ni fondamentali e controlli di frontiera sia
al centro della negoziazione con i cosiddetti
paesi di transito.
C’è poi la questione, ancora più compli-
cata, dei rapporti con la Libia.
L’Italia sicuramente non può attivare nes-
sun movimento forzato, di segno opposto, e
deve anche stare attenta alla collaborazio-
ne con le forze libiche perché non sono fa-
cilmente decifrabili. Ai primi di febbraio, a
Roma, c’è stata una conferenza internazio-
nale sulla Libia, con la presenza dell’allora
capo del governo transitorio Zidan, il quale,
dopo due giorni (per un incidente relativo
alla vendita di petrolio da parte dei ribel-
li in un porto controllato dai federalisti di
Bengasi), si è dovuto dimettere ed è fuggi-
to prima a Malta e poi in Germania, perché
lo avevano minacciato di morte. È lo stesso
premier sequestrato per un giorno l’anno
scorso al centro di Tripoli. Sono sequestri
“pedagogici”; tre giorni fa si è dimesso il suo
successore, perché sono entrati a casa sua di
notte e hanno minacciato con le armi lui e la
sua famiglia.
Oggi con la Libia non c’è un’interlocuzione;
l’abbiamo già visto: fai una conferenza in-
ternazionale, tratti, elabori una linea di in-
tervento e poi cambia tutto!
La Libia rischia di diventare la Somalia del
Mediterraneo; non ci sono gli Shabab, però
ci sono le milizie armate sui pick-up Toyota
col mitra sul cassonetto... La situazione si è
esacerbata quando il governo ha smesso di
pagare il mensile ai miliziani e ne ha chiesto
il disarmo per assumerli in un qualcosa che
doveva essere la polizia libica. A Bengasi
hanno fatto un attentato stile Afghanistan,
proprio dove reclutavano poliziotti, per far
capire che i gruppi federalisti non avrebbe-
ro permesso che si affermasse una forza di
polizia centrale con sovranità su Bengasi e
sulla Cirenaica in generale.
La questione libica è di enorme spessore po-
litico, ma finora nessun paese ha manifesta-
to l’intenzione di affrontarla seriamente. Le
missioni fatte sono state tutte fallimentari.
Tra l’altro, i militari italiani che vanno in
Libia devono muoversi assieme ai contrac-
tor francesi e inglesi, gli unici che hanno le
armi... Riguardo gli accordi di partenariato
ci sono poi due problemi: il primo è che la
Libia non aderisce alla convenzione di Gi-
nevra; il secondo è che nessun libico arriva
in Italia per chiedere asilo o per qualunque
altro motivo. Escluso qualcuno del giro di
Gheddafi, arrivato a Lampedusa con lussuo-
si yacht subito dopo l’inizio della primavera
araba, di libici venuti a chiedere asilo in Ita-
lia non se ne sono visti. Dalla Libia arrivano
tutte persone che provengono da altri paesi
e questo rende molto difficile la negoziazio-
ne perché non hai niente da offrire. Gli unici
argomenti di scambio con la Libia restano
gas, petrolio e infrastrutture, che è poi il ter-
reno dell’accordo tra Berlusconi e Gheddafi,
in parte ancora operativo. Anche per questo
temo ci aspettino altre stagioni di sbarchi e
di gravi violazioni dei diritti umani dei mi-
granti e dei loro stessi corpi, da una parte e
dall’altra del Mediterraneo.
(a cura di Barbara Bertoncin e Bettina Foa)
dalla Libia arrivano persone che
provengono da altri paesi e questo
rende molto difficile la negoziazione
Sistema Europeo Comune di Asilo
In seguito alla riunione del Consiglio
europeo svoltasi a Tampere nell’ottobre
1999 è stato programmato una cosidet-
ta “armonizzazione” delle politiche in
materia di asilo attraverso il cosiddetto
“Sistema Europeo Comune di Asilo” -pa-
rallelamente allo sviluppo di una comune
politica in materia d’immigrazione e di
contrasto alla criminalità organizzata.
Tre principali direttive stabiliscono gli
standard minimi comuni: il significato e
il contenuto della protezione internazio-
nale -status di rifugiato e protezione sus-
sidiaria- (“decreto qualifiche”); la proce-
dura per la presentazione della domanda
di protezione ai fini del riconoscimento di
una forma di protezione (“decreto proce-
dure“); le norme minime relative all’ac-
coglienza dei richiedenti asilo negli Stati
membri (“decreto accoglienza”).
Il cosiddetto regolamento di Dublino (ac-
compagnato dal regolamento Eurodac)
stabilisce invece i criteri per la determi-
nazione dello Stato membro competente
per l’esame di una domanda di protezione
internazionale. Nonostante ciò, il sistema
attuale non riesce a fornire una protezio-
ne equa, efficiente ed efficace e gli Stati
membri presentano tuttora realtà molto
differenti.
Riferimenti
“Decreto qualifiche”:
Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del
29 aprile 2004, attuata con il decreto
Legislativo 19.11.07 n. 251/2007. Rifusa
nel 2011 dalla direttiva 2011/95/CE, re-
cepita in Italia con il Decreto Legislativo
21.02.2014 n. 18/2014.
“Decreto procedure”:
Direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 10
dicembre 2005, recepita in Italia con il D.
Lgs. 28.01.2008 n. 25/2008. Rifusa dalla
Direttiva 2013/32/CE del 26 giugno 2013,
recepita in Italia con il D. Lgs. 21.01.2015
n. 21/2015.
“Decreto accoglienza”:
direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27
gennaio 2003, attuata Italia con il D. Lgs.
30.5. 2005, n. 140/2005. Rifusa nel 2013
dalla Direttiva 2012/33/CE del 26 giugno
2013, recepita in Italia entro luglio 2015.
“Sistema Dublino”:
1) regolamento 604/2013/CE (luglio
2013), il ccdd “Dublino III”, abroga il pre-
cedente regolamento nr. 343/2003 (c.d.
“dublino II”), sullo stato membro respon-
sabile all’esame di una domanda di asilo;
2) il regolamento Eurodac n. 2725/2000/
EC dell’11 dicembre 2000 per il confronto
delle impronte digitali e l’efficace appli-
cazione del regolamento Dublino, e il suo
regolamento di attuazione n. 1560/2003.