Da Lampedusa al Brennero - page 18

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Migranti in transito
La rotta africana
Fulvio Vassallo Paleologo, giurista, docen-
te di Diritto di asilo presso il Dipartimen-
to di Scienze giuridiche dell’Università di
Palermo, direttore dell’Associazione L’Altro
diritto-Sicilia, opera attivamente nella di-
fesa dei migranti e dei richiedenti asilo con
diverse organizzazioni non governative. Fa
parte della rete europea di assistenza, ricer-
ca e informazione per i migranti Migreurop.
Collabora con i siti Fortress Europe, Terre-
Libere, Storiemigranti. Ha un blog (http://
dirittiefrontiere.blogspot.it/) e ha pubblica-
to, tra altri lavori, Diritti sotto sequestro.
Dall’emergenza umanitaria allo stato di ec-
cezione, Aracne, 2012.
L’intervista è stata rilasciata nel mese di
marzo del 2014 e si riporta nella sua versio-
ne originale perché rimane attuale in molti
aspetti che dimostrano quanto era possibile
prevedere già da un anno, ed è stato colpe-
volmente rimosso dai governi e dalle istitu-
zioni europee (F.V.).
Da diverse settimane sono ripresi gli
sbarchi e l’estate si preannuncia molto
critica. Può spiegarci qual è la situa-
zione?
La situazione dei migranti in transito è oggi
particolarmente critica, perché se prima po-
tevano contare su una rete strutturata di
connivenze, corruzione e agevolazioni per le
partenze dalla Libia o per i transiti dai pae-
si a sud della Libia (Niger, Ciad, Sudan),
la dispersione delle milizie e delle armi di
Gheddafi, soprattutto al sud, ha destabiliz-
zato tutta un’area, dal Mali sino al Niger,
determinando anche il riemergere di tensio-
ni tribali. Il Mali è un caso paradigmatico:
oggi gruppi che si riconoscono in Al Qaeda
hanno preso possesso del territorio dell’A-
zawad indipendente, nel nord del Mali, cui
vorrebbero federare pezzi dei paesi del cen-
tro Africa.
Finora la risposta europea è stata militare,
prima con l’intervento francese in Mali e
poi con una pressione militare sulla Libia,
pressione che continua tuttora. Non si è
fatto invece alcuno sforzo politico per com-
porre determinate questioni, che sono prima
di tutto storiche, diplomatiche e di rapporti
tra paesi.
La presenza delle multinazionali ha inqui-
nato i rapporti tra stati. Non a caso Renzi
ha affermato che Finmeccanica in Libia
svolge quasi le funzioni di un’ambasciata;
una gaffe che gli è stata rimproverata, ma
che affermava una verità. D’altra parte, se
pensiamo che a Finmeccanica è stato ricon-
fermato Gianni De Gennaro si può cogliere
la stretta connessione tra politiche economi-
che e politiche della sicurezza. Insomma, è
emblematico che ai vertici delle multinazio-
nali che operano in Africa ci siano persone
sicuramente legate ai servizi.
Tornando alla domanda, l’Africa sta assi-
stendo al rafforzarsi di bande locali; possono
essere le milizie federaliste di Misurata o i
tuareg nella zona del Mali, dove la procla-
mazione dello “Stato indipendente dell’A-
zawad” sta destabilizzando l’intera area,
inclusi il sud dell’Algeria e del Marocco.
L’emergere di questi e altri movimenti spie-
ga l’aumento dei migranti in fuga da paesi
come Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Ni-
geria, Ghana, oltre ai flussi più consistenti
e noti, costituiti da siriani, eritrei e somali
che continuano ad arrivare e che però sono
sottoposti a trattamenti più brutali di quan-
to non avvenisse in passato, perché vengono
ceduti da una banda all’altra.
La rotta africana oggi è caratterizzata da
molti check-point e i migranti in fuga avan-
zano grazie alle telefonate che riescono a
fare ai parenti in Europa per ulteriori pa-
gamenti. Il fatto è che, pagando il riscatto
ai trafficanti, si ha la garanzia di fare cento-
duecento chilometri, non di arrivare, come
accadeva prima, sul Mediterraneo e poi im-
barcarsi. Questo sta determinando una con-
dizione di estrema sofferenza per i migranti
che arrivano in Sicilia, sempre più spesso
vittime di torture e di abusi.
Lei ha più volte denunciato il trat-
tamento riservato a queste persone
quando arrivano nelle nostre coste.
Noi alterniamo, anche sullo stesso terri-
torio, momenti di accoglienza-detenzione
(quando qualche questore si impunta a trat-
tenere le persone in centri chiusi, sbarrati,
con la polizia che impedisce l’uscita, in at-
tesa di raccogliere le loro impronte digitali)
ad altri di accoglienza-abbandono, quando il
numero delle persone che affluiscono è tal-
mente elevato che non c’è il tempo materiale
per contenere e chiudere tutti sotto chiave.
Quando arrivano quattromila persone in tre
giorni e mezzo, come è successo la settima-
na scorsa, questa accoglienza-abbandono
poi si traduce in fughe ampiamente tolle-
rate. D’altra parte, quando a fuggire sono
famiglie coi bambini in braccio diventa dif-
ficile arrestare tutti e trasferirli in centri di
detenzione, che (per fortuna) non esistono.
Né si può pensare a trasformare i centri di
primo soccorso e accoglienza, come quelli di
Pozzallo e Lampedusa, in centri di tratteni-
mento amministrativo.
Devo dire che la Sicilia, dal punto di vi-
sta dell’accoglienza, sta rispondendo in un
modo che poche altre regioni avrebbero po-
tuto eguagliare. Se pensiamo a quello che
ha prodotto in regioni come la Toscana o
l’Emilia l’arrivo di ottanta-cento profughi
in una singola città... A Pisa sono nati co-
mitati di quartiere che protestavano perché
non volevano che tutti e quaranta i rifugiati
fossero ospitati dentro la città, ne volevano
mandare venti verso Lucca; risposte vera-
mente poco consone rispetto alla tradizione
di accoglienza di questi territori. La Sicilia,
tutto sommato, sta gestendo anche certi al-
larmismi in un modo pacato.
Si sa che a mettersi in viaggio sono ten-
denzialmente persone sane, nondime-
no il viaggio mette a repentaglio la sa-
lute dei migranti. Qual è la situazione?
Intanto c’è un problema di promiscuità già
prima del viaggio. In Libia, prima di imbar-
carsi, i migranti vengono raccolti in centri
dove vengono ammassate anche migliaia di
persone e possono svilupparsi malattie ti-
piche, come la Tbc e la scabbia, che poi si
diffondono.
Per questo è così importante che quando ar-
rivano qui ci sia uno screening sanitario ri-
goroso, cosa che non sempre viene garantita
nelle modalità adeguate. Noi abbiamo avuto
immigrati provenienti dal porto di Augusta
(Siracusa), trasferiti a Trapani o a Messina
in una tendopoli, che hanno dichiarato, dopo
sette giorni, di non aver mai visto un medico.
Il ragazzo che è morto a Siracusa, nel centro
Umberto I, era già stato segnalato dall’Or-
ganizzazione Internazionale per le Migra-
zioni come un caso da portare all’attenzione
delle autorità sanitarie, cosa che non è suc-
cessa. Parliamo dunque di una persona già
sofferente al momento dello sbarco, che nei
cinque giorni trascorsi da quando ha toccato
terra a Siracusa a quando è deceduto non ha
ricevuto alcuna assistenza sanitaria. Manca
la cultura di un monitoraggio della salute
delle persone. Il triage sulla banchina del
porto permette solo di individuare i casi più
gravi, ma sfuggono tutte le patologie e le fe-
rite di più difficile accertamento.
Questo per quanto riguarda la partenza e
l’arrivo, ma poi c’è il viaggio: purtroppo i
migranti arrivano in condizioni sempre più
terribili. Non parliamo delle donne, vittime
ormai sistematicamente di abusi, ma adesso
anche molti uomini subiscono torture, quin-
di c’è una quota crescente di persone con un
disagio psichico serio. Ci vorrebbero figure
specializzate in grado di identificare questi
casi, invece non c’è niente di tutto questo.
Peggio, le persone con disagio psichico ven-
gono messe in promiscuità con altre, spesso
riproducendo così situazioni per loro trau-
matiche. Anche tra i minori ci sono proble-
mi. Ancora ieri, a Palermo, c’è stata una ris-
sa in un centro per minori.
D’altra parte, se in queste strutture le per-
sone vengono abbandonate senza mediatori,
senza interpreti, senza psicologi, con solo
qualcuno che si presenta con il cibo mattina,
pagando il riscatto ai trafficanti,
si ha la garanzia di fare
100 chilometri in più, non di arrivare
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