Da Lampedusa al Brennero - page 8

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Anna Maria Gentili ha insegnato Storia e
istituzioni dell’Africa all’Università di Bolo-
gna. Tra i suoi scritti:
Il leone e il cacciato-
re, storia dell’Africa sub-sahariana
(Carocci
editore, 1995).
Quello che segue è il suo intervento alla con-
ferenza “Ruanda 20 anni dopo il genocidio”
(Bolzano, 4 luglio 2014) con la presenza di
Yolande Mukagasana, premio Alexander
Langer 1998.
Vorrei partire da una parola che Yolande
Mukagasana cita spesso, la parola dignità.
Il discorso sui rifugiati e sui migranti deve
partire dal diritto alla dignità, dal riconosce-
re che è nostro dovere appoggiarli nel diffici-
le percorso per sottrarli alla ghettizzazione
in campi di vero e proprio concentramento,
in cui si vedono negato il diritto a ritornare
al più presto a una vita umana e civile.
In Africa il più grande numero di rifu-
giati
Il continente africano dagli anni Cinquan-
ta e Sessanta sopporta il più alto numero di
sfollati interni e rifugiati, prodotti da con-
flitti, ma anche da calamità naturali. Tut-
ti in condizioni precarie privi di diritti e di
prospettive. Un rifugiato interno mozambi-
cano mi diceva anni fa che la sua vita, da
anni oggetto di carità internazionale, non
era vita, perché vivere da uomini e donne
significa vedersi riconosciuta la dignità ap-
punto di esseri umani con pieni diritti civili.
In Kenya esiste il più grande e il più terribile
campo di rifugiati, eredità dell’incorporazio-
ne, nel 1964, della North Eastern Province,
parte dello Jubaland, regione etnicamente a
maggioranza somala. A quell’accorpamento,
avvenuto malgrado le proteste veementi del
governo somalo, seguì una guerra in realtà
mai conclusa e, con la dissoluzione della So-
malia, l’arrivo di altre massicce ondate di
Africa in movimento
Nostalgia di frontiere
impermeabili
disperati in fuga. Essendo considerata ad
alto rischio, questa regione è sempre stata
governata dal Kenya col massimo della du-
rezza: non si contano i massacri, gli abusi
perpetrati da un regime di polizia che in
nome della sicurezza colpisce in primis i più
deboli, i rifugiati appunto. Le organizzazio-
ni internazionali presenti nei campi non
hanno né i mezzi, né il mandato per control-
lare la situazione.
D’altra parte non è mai stata adeguatamen-
te valutata nemmeno la bomba rappresen-
tata dai conflitti in Congo, e nell’intera re-
gione, che dagli anni Sessanta ha provocato
un costante flusso di rifugiati deflagrato
all’indomani del genocidio in Rwanda del
1994. Per decenni si è lasciata incancreni-
re una situazione di continua instabilità, in
cui i rifugiati sono stati usati come arma di
ricatto, di destabilizzazione, ma anche come
amorfo ammasso di popolazione diseredata
da cui reclutare braccia per perpetuare con-
flitti e criminalità.
Tutto questo è accaduto e accade perché in-
ternazionalmente la questione dei rifugiati
viene trattata solo sotto il profilo umanita-
rio, mentre i conflitti che li hanno prodot-
ti sono inscritti nella dinamica di interessi
politici che si posizionano e interagiscono a
ogni livello, globale, regionale, nazionale e
locale. Sicché i campi di rifugiati, che sem-
pre si presentano come provvisori, diventa-
no permanenti perché flebili sono gli sforzi
e gli impegni per negoziare soluzioni con-
divise. Abbiamo rifugiati antichissimi, che
risalgono al tempo delle lotte per l’indipen-
denza, e rifugiati di tutti i conflitti successi-
vi. I rifugiati ruandesi, così come i rifugiati
congolesi in altre aree, sono stratificazioni
che risalgono ai vari conflitti degli anni Cin-
quanta, Sessanta, Settanta e Ottanta.
Ai tempi del genocidio ruandese si sono
scritti volumi in cui si giurava e prometteva
che mai più si sarebbe tollerato un altro ge-
nocidio. I potenti della terra, fra cui l’allora
Presidente Usa Clinton, si battevano il pet-
to: “Abbiamo capito, abbiamo imparato”. Da
allora e sotto i nostri occhi, nella Repubbli-
ca Centrafricana, e ancora nel Sud-Sudan,
sono avvenuti pogrom a cui sono seguiti al-
tri massacri e masse in fuga oltre ogni con-
fine. Questo in presenza di una comunità
internazionale sempre più impotente.
Si tratta di conflitti “dimenticati”, forse per-
ché considerati marginali, ma che in realtà
producono il maggior numero di rifugiati, e
anche il massiccio aumento di giovani mi-
granti che premono alle porte dell’Europa
e non solo. Perlopiù sono giovani uomini,
ma aumentano le donne e i minori. Certo,
partono per trovare lavoro, per studiare, ma
anche per fuggire da abusi terrificanti. Po-
chi, travalicando una frontiera, trovano ac-
coglienza, quale ci si aspetterebbe da paesi
fratelli.
Fuggendo dalla guerra in Liberia, 3800 ri-
fugiati hanno ottenuto il permesso di resi-
denza in Ghana. È un caso eccezionale. La
verità è che, benché si continui a parlare
di panafricanismo, di solidarietà africana,
ed esista un organismo regionale -l’Unione
Africana- che rappresenta tutti gli stati afri-
cani, pochissimi sono i paesi che hanno con-
cesso uno status dignitoso ai rifugiati. Solo
la Tanzania, ai tempi del Presidente Nyere-
re, ha concesso la cittadinanza ai rifugiati
ruandesi e burundesi dei genocidi preceden-
ti a quello del 1994. L’attuale governo della
Tanzania sta invece cacciando rifugiati e
migranti, spingendoli a ritornare in paesi
poverissimi e sovraffollati, come sono ap-
punto il Rwanda e il Burundi, paesi piccoli
e con la più alta densità di popolazione per
chilometro-quadrato in Africa: più di 300 e
passa abitanti.
In Sudafrica non si contano i campi di rifu-
Glossario migrazione forzata
(uno sguardo sul contesto globale)
Persone in fuga
Paesi di origine
Paesi ospitanti
51.2 milioni di persone
16.7 milioni di rifugiati
33.3 milioni di sfollati interni
1.2 milioni richiedenti asilo
Afghanistan
2.556.600 Pakistan
1.616.500
Siria
2.468.400 Rep. Islam. dell’Iran
857.400
Somalia
1.121.700 Libano
856.500
Sudan
649.300 Giordania
641.900
Rep. Dem. del Congo
499.500 Turchia
609.900
Birmania
479.600 Kenya
534.900
Iraq
401.400 Ciad
434.500
Colombia
396.600 Etiopia
433.900
Viet-Nam
314.100 Cina
301.000
Eritrea
308.000 Stati Uniti
263.600
Oltre l’80% di tutti i migranti forzati e gli sfollati restano nella loro regione d’origine.
Resource: UNHCR Global Trends (2013, published in 2014)
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