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membri? Quali i criteri? Quale la formazio-
ne? Il fatto è che non c’è programmazione.
Oggi tutti i media puntano a dire che ne
“arrivano tantissimi”. Non è vero. Certo, se
arrivano quattromila persone in due giorni
la logistica va in tilt, ma sarebbe un proble-
ma per qualsiasi stato; su questo non si può
accusare l’Italia. Quello che non si capisce è
com’è possibile che ogni anno sia una gran-
de novità che arrivano delle persone da pae-
si in guerra o dove non sono tutelati i diritti
minimi.
La vera colpa dell’Italia è di non aver impa-
rato a gestire questa situazione. Sono dieci
anni che viviamo nell’emergenza e questo è
frutto di una precisa volontà politica. Noi in
questo momento siamo in difficoltà perché
non riusciamo a fare monitoraggio quando
arrivano tutte queste persone in due o tre
giorni. Servirebbero dieci persone posizio-
nate nei punti caldi, ma non possiamo per-
mettercelo. Facciamo quello che possiamo.
Certo, d’inverno sono di meno, ma non man-
cano gli arrivi, nemmeno col mare grosso
e molto più pericoloso. I flussi sono ovvia-
mente legati a cosa succede dall’altra parte
del Mediterraneo. Per esempio da quando la
Turchia ha chiuso le porte, i siriani hanno
ricominciato ad arrivare via mare in Italia.
Dipende sempre dalla situazione geopoliti-
ca. Comunque quando si chiude una rotta,
non tarda ad aprirsene un’altra. I siriani
adesso si imbarcano anche dall’Egitto.
Rimane difficile generalizzare la tipologia di
chi arriva, la situazione è molto variegata.
Quello che possiamo dire è che arrivano ve-
ramente i più forti, se non altro perché sono
sopravvissuti a viaggi inimmaginabili, do-
podiché sono persone diversissime, si va dal
medico siriano fino al contadino analfabeta.
Quanto costa il viaggio?
Giovanna.
Anche quello dipende. Sembra
che dall’inizio di Mare Nostrum, con la pre-
senza delle navi militari nel Canale di Sici-
lia, la tariffa si sia abbassata e addirittura
dimezzata perché i trafficanti organizzano
viaggi su ogni tipo di mezzo che riesca a ma-
lapena a uscire dalle acque libiche.
Ad ogni modo una famiglia di profughi per
sfuggire a guerre, carestie e dittature è co-
stretta a pagare migliaia di euro per assicu-
rarsi un viaggio rischiosissimo nella speran-
za di salvarsi. Ora, senza Mare Nostrum, il
pericolo e i prezzi aumentano di nuovo.
Borderline Sicilia, in qualche modo,
sta anche facendo giurisprudenza.
Judith.
Il lavoro di
advocacy
è molto im-
portante per noi. Germana e Paola, assie-
me alla rete di organizzazioni e ai giuristi
con cui lavoriamo, operano affinché questo
lavoro di monitoraggio porti ad affrontare
casi e cause pilota che possono creare una
giurisprudenza. Io non sono un’esperta, ma,
ad esempio, alcuni immigrati siriani senza
permesso di soggiorno con problemi di sa-
lute arrivati in Italia, ma poi rifugiatisi in
Germania, avevano fatto ricorso a un Tar
tedesco per non essere rimandati in Italia.
dell’ente gestore del centro, nonostante si
trovasse in condizioni tali da non poter ne-
anche affrontare un viaggio da solo. E in-
fatti, quel pomeriggio, l’intenzione dei loro
amici era quella di accompagnarlo in stazio-
ne con la speranza di trovare un connazio-
nale a cui poterlo affidare per il viaggio ver-
so Roma. Abbiamo allora proposto ai suoi
amici di darci la possibilità di trovare una
soluzione: in quello stato non poteva parti-
re, ma soprattutto aveva diritto a un altro
tipo di accoglienza. Inizialmente erano re-
stii, del resto l’esperienza con chi nel centro
doveva prendersi cura di lui non era andata
troppo bene, quindi, perché fidarsi. Seppur
diffidenti hanno lasciato che attivassimo la
rete locale per provvedere a un’accoglienza
e all’accesso alle cure. Nel giro di qualche
settimana, piano piano, è riuscito a ripren-
dere le cure. L’ultima volta che l’ho visto mi
ha detto che sta studiando l’italiano. È una
storia che è finita bene. Ma è stato solo un
caso. Non tutte vanno così.
Ma qual è l’iter che aspetta chi sbarca
nel nostro paese?
Giovanna.
I viaggi sono tremendi, possono
durare settimane, ma anche anni. Stanno
chiusi per giorni in questi tir, tant’è che or-
mai hanno imparato e iniziano a non bere
dal giorno prima, perché poi non hai modo
di... così si disidratano però.
Judith.
La rotta Libia-Italia è drammatica,
arrivati in Libia sono costretti a lavorare
per mettere assieme i soldi e molti finiscono
in carcere.
Giovanna.
Tanti non arrivano.
Judith.
Le donne subiscono pressoché tutte
delle violenze incredibili.
Comunque quando arrivano vengono tra-
sportati spesso su una nave militare ma an-
che su navi cargo a Porto Empedocle, Poz-
zallo o Augusta, o in altri porti siciliani o
della terraferma. Da lì vengono smistati, ma
siccome non c’è posto è altamente probabi-
le che dopo quel viaggio terribile, finiscano
in una tenda. Dalla fine del 2013 viviamo
di nuovo in uno stato di emergenza, anche
se non è stato proclamato. In questa fase
dell’accoglienza il problema più grave è che
non ci sono i posti. Il rischio è che qualsiasi
appartamento possa diventare accoglienza:
ci metti dentro un tot di persone e ti guada-
gni un bel po’ di soldi. Le convenzioni sono
scarnissime, alla fine il messaggio che pas-
sa è: cerchiamo posti, chi vuol partecipare?
Certo, sulla convenzione c’è scritto che il Mi-
nistero dell’Interno si riserva la possibilità
di monitorare, ma è difficile crederci perché
proprio manca il personale.
Comunque, una volta sbarcati, i rifugiati
vengono smistati in centri più o meno in-
formali, a volte in tendopoli, vecchie scuole,
palestre o altre “strutture ponte”. Da lì do-
vrebbe seguire il trasferimento in un Cara,
il centro per i richiedenti asilo o in un Cen-
tro d’accoglienza (Cda), per quelli che non
vogliono fare la richiesta. Il fatto è che tali
trasferimenti avvengono anche dopo mesi;
mesi di totale inattività. Nel centro Umber-
to I di Siracusa, una vecchia scuola, sempre
sovraffollata, ci sono tutti questi uomini che
trascorrono due, tre mesi senza fare nulla,
senza nemmeno poter presentare la richie-
sta d’asilo perché a rigore lo possono fare
solo in un Cara. Mesi che passano così, per
niente. Quando infine vengono trasferiti
(se non se ne sono andati prima, cosa che
succede spessissimo) vanno in un Cara e,
nel caso, in uno Sprar, centri pensati anche
per i più vulnerabili dove dovrebbe essere
previsto un accompagnamento più forte con
un’integrazione fatta di scuola, formazione,
ricerca di un posto di lavoro. Ovviamente, in
questo periodo di crisi e pesante disoccupa-
zione, tanti operatori degli Sprar confessano
agli stessi immigrati di non poter far nulla
per loro. Ora hanno aperto più di settemila
nuovi posti, però, anche lì, metà delle con-
venzioni riguardano gestori nuovi, che non
sai chi sono. Di gestori ce ne sono di tutti i
colori, privati, cooperative cosiddette rosse,
di tutto e di più e anche questo rende diffici-
le il monitoraggio.
L’accoglienza è anche un affare per qualcu-
no. Attualmente la tariffa per ospite (atten-
zione: riscossa dai gestori, non dai migranti)
nei centri di prima accoglienza per richie-
denti asilo è di trenta euro al giorno.
Come trascorrono le giornate in questi
centri?
Judith.
Non fanno niente perché non c’è
niente da fare. O meglio, dipende dal cen-
tro. Non tutti i centri sono bruttissimi, però
quelli grandi, governativi, sono tutti brutti,
al massimo c’è un corso di italiano, però,
se ogni giorno cambia l’insegnante, tu non
riesci a seguire e allora non ci vai più. Se,
come a Mineo, tieni il corso due o tre vol-
te alla settimana, con duecento persone per
volta, non ci vai più. Certo, possono uscire,
ma dove vanno? Non hanno soldi. Quando
va bene ricevono due euro e mezzo al giorno.
Giovanna.
La situazione è anche peggiore
nei centri di primissima accoglienza arran-
giati in qualsiasi tipo di struttura (tenso-
strutture, palestre, scuole) dove il tempo
limite di permanenza dovrebbe essere di 72
ore (ovvero quello strettamente necessario
per l’identificazione e individuazione di cen-
tri in cui collocare i richiedenti asilo) ma che
spesso, troppo spesso, diventano i luoghi in
cui i richiedenti asilo rimangano interi mesi,
peraltro nella totale promiscuità: donne,
neonati, uomini, minori. La situazione dei
minori è particolarmente critica. Anche qui
devo dire che la nostra presenza comunque
un ruolo lo svolge perché è un occhio esterno
che vede e che ha i mezzi per denunciare e
segnalare ciò che vede.
Judith.
Comunque, per concludere l’iter,
quando accedi a un Cara fai finalmente la
tua richiesta d’asilo. Per il momento ab-
biamo dieci commissioni territoriali dove
presentare la richiesta. Siccome non basta-
no, hanno riaperto altre dieci chiamiamole
sub-commissioni, però, per dire, a Trapani,
parliamo di una media di 12-15 mesi per es-
sere sentito dalla commissione. Dovrebbero
aumentare a 20 nel 2015. Ma già nelle com-
missioni esistenti il personale spesso non
è ben preparato. Chi sceglierà i prossimi
in questo periodo di crisi, tanti
operatori degli Sprar confessano agli
stessi immigrati di non poter far nulla
servirebbero dieci persone
posizionate nei punti caldi,
ma non possiamo permettercelo