Di tutti i viaggi comuni il più bizzarro fu un viaggio in Libia, quindici anni fa, cui partecipò anche un gruppo di pacifisti europei e di Verdi del nord Europa. Alex mi aveva invitato, oltre tutto, perché ne scrivessi al ritorno: una specie di misura cautelare. Conobbi allora, di alcuni di quei Verdi settentrionali, la sensibilità al conflitto Nord-Sud (che in Alex sarebbe stata sempre vivissima), e anche una tentazione ingenua di trovare pregi antimperialisti in regimi nazionalistici, dispotici e antisemiti. Ne conobbi il metodico attaccamento alla consultazione e alla decisione democratica, e anche una riluttanza all’ironia e una specie di Mania del Regolamento. Incontrammo Gheddafi. Spiegò seraficamente che il suo libretto verde era un’anticipazione del verde ecologista. Uno scarafaggio camminò verso di lui, dalla sabbia sul tappeto nella tenda in cui ci riceveva, finché con un movimento improvviso il colonnello lo afferrò tra le dita di un piede, e lo ributtò nella sabbia. Fu il solo punto ecologico di un incontro allarmante, sebbene ad alcuni dei nostri compagni di viaggio non sembrasse immediatamente così. Ero un po’ sconcertato, benché sapessi che la Mania del Regolamento è anche la chiave della grandezza di don Chisciotte. Alexander stava scrupolosamente alle regole, pur di informare e persuadere i suoi compagni di ciò che gli sembrava giusto; e a me spiegava altrettanto pazientemente quegli usi di discussione infinita, come si insegnano a un principiante i rudimenti di una lingua straniera. Ha fatto sempre così, con la sua intelligenza di minoranza.
Alex era figlio di un padre medico, ebreo viennese non praticante, e di una madre rigorosamente laica, e diventò lui stesso, da ragazzo, "una specie di cattolico autodidatta". Studiò dai francescani a Bolzano, poi giurisprudenza a Firenze, dove conobbe don Milani e la sua scuola di esiliati, poi sociologia a Bonn e a Trento. Dopo una militanza locale nell’attivismo cattolico, e poi nella "sinistra informale", Alex aderì alla sinistra extraparlamentare di Lotta Continua. Ma anche in quella esperienza, invero trascinante, tenne sempre una sua autonomia personale e "regionale". In nessun momento accettò per sé tentazioni centralistiche, che riguardassero le proiezioni ideologiche o la pratica quotidiana. Più che riserve -impensabili per l’intransigenza e la franchezza che lo animavano- quelli di Alexander erano antidoti misurati con cura. Il primo antidoto era l’attenzione a conservare il legame più stretto con il Sud Tirolo-Alto Adige, e con le persone con cui aveva condiviso la propria formazione lì radicata. Una specie di federalismo di fatto lo distingueva dalla assimilazione frettolosa, o anche solo dalla distrazione, con cui, in nome della Grande Causa, la maggior parte di noi tendeva a procedere. Il secondo antidoto era la decisione di tenersi scrupolosamente un lavoro proprio, un ambiente proprio, una stanza insomma tutta per sé, distante e indipendente dalle stanze comuni di una politica che tendeva a bruciare tutto dentro di sé. Parecchi anni dopo, ne parlò così: "Cercavo, con altri, una linea che mi consentisse di restare solidale con la mia comunità (o anche solo di non esserne rigettato) e insieme di non essere nemico dell’altra. Di non esaurirmi nell’identificazione con una fazione, una situazione: di essere anche "altrove". Anche più tardi, quando collaboravo a "Lotta Continua", e mi ero trasferito a Roma, ero contento di avere un altro lavoro, di insegnante, e un altro quartiere, lontano da Trastevere, di non essere sempre e solo lì, come mi pareva che succedesse ad altri. Anche se magari li invidiavo perché erano ’dentro’ senza residui, giorno, sera, notte.
Parlare più lingue è una condizione pratica e metaforica di questa possibilità di essere qui e altrove".
Così, ora, pensando ad Alex -e a tanti altri, troppi, che stettero insieme allora e non sono più vivi- quella distanza conservata, quella capacità di restare se stessi nella spinta alla fusione e all’anonimato, mi sembrano l’indizio di un pregio involontario, fra tanti difetti ostinati, di Lotta Continua. E’ un fatto che, lungo le peripezie successive degli schieramenti e dei colori, Alexander sembra aver raggiunto precocissimamente un punto fermo cui non avrebbe mai cessato di tornare. Era qualcosa di più peculiare della scelta di stare dalla parte degli ultimi, o della cura per le minoranze e per le dimensioni prossime, o della dif ...[continua]
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