Una cosa chiara che esce dalla vicenda Tav in Val di Susa è che una proposta precisa di un modo alternativo e più democratico (inclusivo, partecipativo, ecc.) per prendere queste decisioni è assente. Vorrei porti tre questioni: qual è la tradizione culturale a cui attinge la nostra classe politica nel prendere questo tipo di decisioni? Quali dovrebbero essere le caratteristiche di una politica capace di includere tutte le parti interessate nelle decisioni sulle grandi opere e sugli spazi pubblici in generale? E infine: dalle esperienze pluriennali di mobilitazione contro la Tav e da quelle dell’Osservatorio, non potrebbe nascere un protocollo per una nuova e più matura, più europea, concezione della decisione pubblica in Italia?
Per cominciare devo attingere a due esperienze professionali: quella relativa alla direzione dell’Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione, ma prima ancora la gestione dei postumi della realizzazione dell’autostrada A32 e relativo traforo del Frejus, sempre in Val di Susa, con i quali mi sono trovato a fare i conti (dal 1998 al 2001) in qualità di amministratore delegato della Sitaf, la società che si era occupata dei lavori di costruzione e che poi doveva occuparsi della gestione e manutenzione. Ho così avuto modo di riflettere sulle strategie relative ai rapporti col territorio adottate in questi due casi, due stili di gestione opposti che hanno generato conflitti di rilevanza diversa, ma che sono risultati entrambi a vario titolo poco convincenti.La prima strategia, quella dell’autostrada, era stata improntata a un’operazione di altissima captatio benevolentiae inseguendo e blandendo quasi individualmente gli amministratori e le amministrazioni locali, con una disponibilità di risorse che era elevata e che veniva presentata quasi come illimitata. L’accettazione dell’intervento è stata affidata a un sistema di elargizioni preventive tale per cui l’unico riferimento che mi viene in mente è la situazione pre-luterana del mercato delle indulgenze; in questo caso un mercato delle indulgenze ambientali e amministrative.Quindi il primo scenario è: lo Stato (o chi per esso) arriva con poteri pressoché illimitati e si rivolge a interlocutori territoriali deboli invitati a esprimere ognuno per conto suo, ognuno isolatamente, i loro desiderata. Lo spirito dell’operazione è: "Pecchiamo pure, ma compriamo l’assoluzione” e compriamola da tanti interlocutori, separati fra loro, in modo da mantenere intatto il rapporto asimmetrico tra il ricco e il povero.
E' la "cultura partecipativa” con le radici più antiche, che nessuno a quanto pare considerava riprovevole.
Nessuno l’ha considerata una patologia. Al contrario, è stata considerata un’operazione molto abile, molto brillante dal punto di vista del raggiungimento del risultato che ci si prefiggeva. Ma questa impostazione ha determinato l’assenza di una reale valutazione e condivisione dell’opera da parte degli abitanti locali, componente non trascurabile della situazione di crisi che mi sono poi trovato a gestire. Il risultato, dal punto di vista culturale in senso lato, è un’opera tollerata perché "conveniente” (per le "convenienze” che generava), ma non condivisa e forse neppure compresa.Va detto che era ed è una bella opera, non banale dal punto di vista tecnico e molto rilevante anche dal punto di vista dell’approccio disciplinare, un’opera non fatta per dissimularsi. Molto diversa, per fare un paragone, dall’impostazione originaria dell’autostrada del Brennero in cui venne chiamato un paesaggista come Porcinai per studiarne l’armonizzazione col paesaggio. Qui abbiamo invece un’opera dura, che si integra per differenza, con una forte discontinuità con il contesto in cui è inserita, nel solco della Weltanschauung dell’Autostrada del Sole: una grande opera fatta da grandi firme.Opere che spiccano in quanto tali nel e dal contesto e che lasciano a un dopo che non le riguarda la loro digestione da parte del territorio circostante.Di fatto questa opera è stata accettata, ma non è mai diventata oggetto di identificazione, tipo la Mole Antonelliana o la Tour Eiffel, anch’esse opere dapprima contrastate, ma che poi hanno dato luogo a una metabolizzazione culturale vera, fino a divenire simbolo di Torino e Parigi. Invece l’A32 è rimasta un’opera ...[continua]
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