Autoritratto trasposto (in Arsenio) e monologo raziocinante (nei Limoni) segnalano subito che Montale sentiva di esordire, all’inizio degli anni Venti del Novecento, in un momento non facile per la poesia. Bisognava dare subito un’idea forte di se stessi e del proprio stile. Lo spiegò più tardi nella sua famosa "intervista immaginaria” del 1946: "Non ci fu mai in me una infatuazione poetica, né alcun desiderio di ‘specializzarmi’ in quel senso. In quegli anni quasi nessuno si occupava di poesia. L’ultimo successo di cui abbia ricordo in quei tempi fu Gozzano, ma gli spiriti forti dicevano male di lui, e anche io (a torto) ero di quel parere. I letterati migliori, che presto si riunirono intorno alla Ronda, pensavano che la poesia dovesse scriversi, da allora in poi, in prosa. Ricordo che pubblicati i primi versi, nel Primo Tempo di Giacomo Debenedetti, fui accolto con ironia dai miei pochi amici (ch’erano già immersi nella politica e antifascisti dal più al meno, verso il ’22-’23)”.
Dunque, difficoltà di situazione e mancanza di fede nell’autoidentificazione "specializzata” di poeta. Senza escludere, anzi includendo quella che gli psicologi hanno chiamato "identificazione con l’aggressore”: se gli altri tendono a fare dell’ironia sul fatto che scrivo poesie, sarò io stesso a scriverle in modo da far sentire sfiducia e ironia su me stesso e anche sui poeti e sulla poesia in generale, almeno per come è comunemente, volgarmente intesa:
I limoni
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla;
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro;
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di questo odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Come si vede è un monologo in scena, che però tenta il dialogo ("Ascoltami”, "Vedi”). L’autore dei versi si illustra, si rappresenta, si spiega e in pa ...[continua]
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