Cari amici,
il 30 luglio 2019 è stato il ventesimo anniversario del regno di Mohamed VI in Marocco, salito al trono alla morte di Hassan II nel 1999. Dunque un anno di bilanci sulla monarchia. Sono stati vent’anni all’insegna di grandi cambiamenti, segnati almeno all’inizio da un grande sforzo riformatore. Un impegno che è sembrato affievolirsi negli ultimi anni, forse anche a causa del confronto con la nuova realtà politica e la conseguente forza numerica del partito islamista moderato Pjd, che mantiene un peso preponderante anche nell’orientamento dell’opinione pubblica. “In un bilancio del regno, non si può imputare tutto ad un re” sottolinea il sociologo Mohammed Tozy in una lunga intervista sul tema. Un regno, continua lo studioso, in cui si sono create le condizioni per un cambiamento profondo della società, cambiamento che però tarda a realizzarsi. All’apparenza, a fronte di una volontà riformatrice del sovrano, ci sarebbe una società impreparata o conservatrice.
Il caso dell’emancipazione femminile sembra rafforzare tale ipotesi. Come sostiene con convinzione la direttrice del settimanale “Tel Quel”, il re nei vent’anni di regno “s’è battuto per i diritti delle donne del suo paese, spesso in solitudine e con il solo appoggio delle associazioni femministe”. Anche l’immagine disinvolta della sua sposa, Lalla Salma (in questi mesi ormai definita la ‘vecchia sposa’ del re, sancendo dunque pubblicamente l’avvenuto divorzio regale), dal matrimonio del 2002 in poi ha dato un’idea di come il re avrebbe voluto la donna marocchina: “moderna, emancipata e rispettata”; così la definisce Aicha Akalay nel suo editoriale di qualche settimana fa. E questa posizione è stata mantenuta nonostante i sondaggi (segreti) abbiano evidenziato come le maggiori critiche a questo regno riguardino la riforma della Moudawana nel 2004, cioè la riforma del codice di famiglia che ha in gran parte migliorato la condizione femminile.
Restano, beninteso, gravi difficoltà nell’espressione di queste maggiori libertà e diritti delle donne. Il caso della diseguaglianza nell’eredità è eclatante, così come in questi ultimi giorni è stato emblematico il caso della giornalista Hajar Raissouni, arrestata per presunto aborto, atto illegale in Marocco. Anche qui le indicazioni del re per un allargamento dei casi legittimi (violenza subita o gravi malattie riscontrate nel feto) non sembrano smuovere la classe politica.
Il 2019 è anche l’anniversario della chiusura della frontiera con l’Algeria: sono già quindici anni che ai due popoli fratelli è imposta una separazione forzata, tanto più crudele dove la frontiera divide le famiglie: parenti che vivono a dieci-quindici chilometri di distanza tra la regione orientale del Marocco e l’Algeria si trovano costretti a percorrere chilometri in aereo o nave e poi mezzi terrestri per ricongiungersi, e a costi importanti. Gli unici ad avere un trattamento differente sono i defunti: esistono infatti autorizzazioni speciali per l’attraversamento della frontiera da parte dei feretri...
Era il 1994 quando il Marocco ritenne di fare questa scelta a causa delle presunte connessioni tra servizi segreti algerini e attentatati terroristici a Marrakech. La situazione, a tutt’oggi irrisolta, del Sahara Occidentale non ha certo facilitato in questi ultimi anni il possibile riavvicinamento tra le due diplomazie e all’interno dell’Unione africana, col clamoroso reingresso del Marocco, questa tensione è riemersa in tutta la sua potenza. Una chiusura, quella della frontiera, che ha danneggiato enormemente l’economia, anche solo per la riduzione netta del flusso turistico tra i due paesi (ancora nel 1991 si parlava di due milioni di passaggi attraverso il confine). Negli ultimi cinque anni sarebbe stata penalizzata pure l’economia informale: il peso del contrabbando è stato infatti ridotto dai numerosi controlli e dalle nuove barriere create lungo la frontiera stessa. È certo che la desolazione della regione orientale è aumentata decisamente in questi quindici anni. Oasi un tempo floride, proprio grazie alla frontiera, come Figuig nel profondo sudest, hanno visto una riduzione significativa di abitanti.
Un’estate di anniversari importanti, ma pure di sorprese: come la repentina approvazione in parlamento della Legge quadro sull’insegnamento. Invocata dal re già da tempo, aveva visto contrapporsi forze politiche e opinione pubblica, quest’ultima animata anche dal vecchio leone della politica, ora in disgrazia, Benkirane, su una questione particolare: l’insegnamento in francese o in lingua straniera delle materie scientifiche anche nelle scuole superiori, così come già avviene nelle università del regno. L’opposizione del partito di maggioranza relativa al governo e del suo vecchio alleato, ora all’opposizione, il partito nazionalista conservatore Istiklal, aveva bloccato la legge nelle commissioni. Il re stesso era di nuovo intervenuto in aprile per spingere il primo ministro El Othmani ad attenersi all’impostazione indicata dal Consiglio superiore per l’educazione. Tre mesi dopo, a sorpresa, prima della chiusura della sessione parlamentare estiva, la legge è stata approvata in commissione e subito dopo in parlamento con pochissimi voti contrari o astensioni.
Tra i contrari, inaspettatamente, anche i due unici deputati della sinistra marocchina Fgd, preoccupati per il peso eccessivo dato alla scuola privata e per l’assenza di indicazioni sul finanziamento dell’istruzione pubblica, già sottoposta a forti tagli.
Molto soddisfatto per l’approvazione della legge quadro il ministro dell’istruzione e della ricerca scientifica Said Amzazi ha dichiarato: “La legge permetterà al nostro paese di dotarsi di un testo di riferimento valido per tutti, garantendo una riforma duratura del sistema educativo e formativo e le condizioni per il decollo della scuola marocchina”. Affermazioni che si scontrano purtroppo con la realtà di un sistema carente sotto tutti i punti di vista, dove corruzione e cattiva gestione hanno ormai da tempo favorito l’emergere di scuole private ovunque, persino nei quartieri più poveri, a discapito di una scuola pubblica già disastrata. All’indomani dell’indipendenza, durante una conferenza internazionale nel monastero benedettino di Toumliline, l’allora presidente dell’assemblea nazionale consultiva Mehdi Ben Barka aveva dichiarato: “Tutto quanto stiamo costruendo resterà precario se non porrà le sue basi sulla scienza, su un’educazione solida. Un paese che non abbia ricercatori, che non abbia sapienti, è vocato alla schiavitù e non merita altro. È per questo che durante il primo anno di indipendenza abbiamo concentrato il nostro impegno sul problema dell’educazione”.
Un’esortazione ancora estremamente attuale.