Cari amici,
in questi giorni di fine anno ancora una volta un caso di violazione della libertà di espressione in Marocco scuote l’opinione pubblica. Alcune centinaia di manifestanti a Rabat, Casablanca e persino a Parigi chiedono infatti la liberazione del giovane giornalista Omar Radi, incarcerato per aver twittato criticando il verdetto di un giudice contro i militanti del movimento Hirak. Non è un caso isolato, continua a essere assai complicato esprimersi liberamente in Marocco, che lo si faccia da artisti o da blogger. Non parliamo dei giornalisti o dei cittadini che manifestano in piazza: il caso di Zafzafi e altri militanti del movimento di protesta nonviolenta Hirak non è certo chiuso e molti di loro stanno scontando in galera pene pesantissime. Nonostante ciò, ci sono tanti motivi per aprirsi alla speranza di un futuro migliore in Marocco. Il 12 dicembre il re ha nominato una commissione di esperti per la definizione di un nuovo modello di sviluppo. Fanno parte della commissione presieduta dal diplomatico Chakib Benmoussa alcune delle figure più preparate e aperte all’innovazione; tra di esse l’astro emergente del partito socialista, fortemente in crisi, Ahmed Reda Chami, presidente del Cese (Consiglio economico, sociale e ambientale del regno). Proprio il Cese, già a fine dicembre, ha prodotto un rapporto sul modello di sviluppo, elencando una serie di scelte indispensabili affinché sia creato un clima di fiducia in Marocco ed esso diventi un paese solidale e prospero per tutti i cittadini. L’istituto propone di intervenire per mettere effettivamente il cittadino al centro del processo di sviluppo e dunque di rendere accessibili a tutti, senza alcuna discriminazione, i servizi pubblici. Migliorare i servizi di educazione, formazione e cura dei cittadini permetterebbe tra l’altro di liberare risorse, alleggerendo il peso economico di servizi privati gravante su gran parte dei marocchini. Il Cese indica poi altri importanti obiettivi, come le pari opportunità per le donne e persino il raggiungimento di una copertura sanitaria generale. Ottimi propositi che potrebbero stimolare l’ampia commissione dei trentacinque esperti, composta da figure provenienti dal privato come dal pubblico ed eccezionalmente anche da alcuni residenti all’estero. Essa si è dichiarata fin dall’inizio aperta ad altri contributi esterni, per meglio poter giungere all’elaborazione di quel nuovo modello di sviluppo di cui il paese sente urgente bisogno.
Sul fronte culturale, una notizia che mi rende particolarmente felice è l’inserimento proprio il 12 dicembre, dopo anni di attesa, della cultura gnawa nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Una consacrazione che obbliga il Marocco a intervenire per la protezione, la salvaguardia e la promozione di tale cultura ancestrale.
La patria gnawa per eccellenza è Essaouira, la città atlantica rinfrescata dagli alisei. Qui insistono diverse confraternite gnawa, che si ritrovano in zawye, paragonabili a piccoli santuari, costruiti e cresciuti in genere attorno alla tomba di un “santo”, di un marabutto. È questa, una cultura sincretica, che si inserisce a fatica nell’islam tradizionale, legandosi a tradizioni mistiche sufi, ma convive a pieno titolo e con ampio riconoscimento nella cultura popolare marocchina. Propria originariamente della popolazione nera, quella discendente dagli schiavi subsahariani del Marocco, oggi è trasversale e in particolare a Essaouira è radicata in gran parte della popolazione, sia essa berbera o araba. La musica gnawa, ritmica e trascinante fino a portare alla trance, ha dato la spinta maggiore al riconoscimento nazionale e internazionale della cultura gnawa, che si identifica proprio con la musica e le danze guidate dal Maâlem, il maestro e guida, al suono dal timbro profondo di un guembri (o sintir), un liuto rudimentale, cui si accompagnano canti ripetuti ossessivamente a mo’ di invocazioni religiose e il ritmo delle krakeb, le nacchere metalliche o meglio cembali abilmente suonati da giovani ballerini agilissimi: essi paiono scivolare quasi volando a filo del pavimento per poi improvvisamente elevarsi in acrobatici balzi e simboliche mosse di danza. Anche i costumi tradizionali gnawa sono molto particolari, dai colori vivaci, con ampio uso di conchiglie, quasi a voler simboleggiare il legame con la città porto dove, tra l’altro, da più di vent’anni alla fine di giugno, (quando i venti atlantici sono a volte insopportabili) si svolge il festival internazionale di musica gnawa.
Nei numerosi soggiorni estivi a Essaouira, ho conosciuto diversi musicisti gnawa, appassionati e spesso davvero capaci, e ho potuto osservare come la musica gnawa diventasse per loro motivo di orgoglio e di realizzazione, una vera via di fuga da una vita senza grandi prospettive in una città turistica, ma non per questo ricca di prospettive per i suoi giovani, che tutt’al più si ritrovano a fare i commessi nei piccoli negozi artigianali dove vengono pagati con le sole commissioni sulle vendite effettive. Li vedevo allegri quando dall’oceano arrivavano grandi quantità di sardine, tante da poterle regalare e allora di fronte a ogni piccolo negozio un braciere cuoceva lentamente poche sardine fresche. Ho assistito a uno splendido e mai più replicato festival estivo dei giovani gnawa, per me più bello del più importante festival internazionale, perché reso straordinario dalla grande passione e dalla voglia di esprimersi di tali giovani talenti. E ho visto spegnersi amaramente i sogni di molti di loro. Alcuni per l’ostilità della famiglia, tradizionalista islamica. I più per la mancanza di futuro, che a volte li conduce all’alcol o ad altre droghe, per perdersi...
Qualcuno è approdato in Europa, magari anche grazie a una trasferta musicale, ma difficilmente ha potuto coltivare qui la sua passione per l’arte e la musica. Mi auguro pertanto che questo riconoscimento dell’Unesco sia preso sul serio dal governo marocchino e dalle istituzioni internazionali e si faccia tutto il possibile per valorizzare la musica gnawa così da favorire la realizzazione di tanti suoi appassionati artisti.