il mese di Ramadan è appena terminato. Quello del 2020 resterà nella memoria per com’è stato diverso a causa dell’emergenza sanitaria in corso. In Marocco in particolare s’è vissuto un Ramadan con il coprifuoco notturno, dalle 19.00 alle 5.00 del mattino, per evitare assembramenti dopo il tramonto quando si interrompe il digiuno. Se in Italia la Pasqua è trascorsa senza messe in chiesa, così in Marocco è stato proibito radunarsi in moschea e il divieto vige tuttora.
Il tentativo di fermare la diffusione del virus ha portato ad un’esperienza religiosa forse più intima, spirituale e personale della propria manifestazione di fede. In occasione dell’Aid Al Fitr di fine Ramadan non si è potuta vivere quella consueta gioia dell’incontro famigliare e della condivisione di preghiera e pasto. La festa si è consumata nei nuclei famigliari, a volte separati e distanti a causa del lockdown, ognuno al chiuso della sua dimora. Forse il Ramadan peggiore è stato vissuto dai circa ventiduemila marocchini rimasti all’estero per la chiusura della frontiera. Se il rientro dei pochi studenti marocchini dalla Cina era stato salutato con una certa enfasi, si è poi parlato molto meno di quanti sono rimasti bloccati fuori dai confini nazionali a partire dalla chiusura di metà marzo. Un rimpatrio ostacolato dalla difficoltà di garantire la sicurezza per chi ritorna e per il Paese che lo deve accogliere; ma soprattutto dai costi, stimati dal ministero degli esteri marocchino in circa dodici milioni di euro. I giornali riportano casi eclatanti, come quello dei lavoratori marocchini rimasti da soli in isole paradisiache come le Maldive, ma non certo nelle condizioni di godersi il luogo. La frontiera in epoca di Covid-19 è tornata ad esistere nella sua natura peggiore per i tanti migranti, gli stessi che avevano magari impiegato tanti anni e sacrifici per ottenere permessi di soggiorno lavorativi o addirittura la doppia cittadinanza.
D’altronde la restrizione dei movimenti oltre frontiera è valsa anche per l’uscita dal Marocco: molti stranieri sono rimasti bloccati nel Paese, nonostante molte ambasciate si siano prodigate e abbiano anche collaborato tra loro per organizzare numerosi rimpatri.
Quello più sorprendente è stato il rimpatrio di un gruppo di israeliani (molti di loro con passaporto marocchino e alcuni musulmani) proprio in coincidenza con la difficoltosa formazione del nuovo governo d’Israele, nel quale i componenti di origine marocchina sono circa un terzo. Un rimpatrio organizzato nonostante le relazioni diplomatiche tra i due paesi siano ufficialmente interrotte da anni (con qualche indiscrezione trapelata sul necessario intervento del governo marocchino per permetterlo).
In tale situazione l’Italia non pare abbia fatto la figura migliore, lasciando ‘a terra’ molti concittadini, alcuni anche in difficoltà, come donne incinte e persone malate: non sono mancate manifestazioni e sit-in davanti al Consolato italiano di Casablanca, nonostante il divieto di uscire di casa. A lamentarsi soprattutto i cittadini con doppia nazionalità, neo italiani, e tanti marocchini con regolare permesso di soggiorno che vivono il concreto rischio di perdere il lavoro in Italia. Va detto che le condizioni per garantire di essere inseriti nel numero dei rimpatriati prevedono, vista l’emergenza, motivi di necessità (ricongiungimento con minori, tra l’altro), lavoro e motivi sanitari ben documentati che non possano essere risolti in Marocco. Molti denunciano tuttavia la mediocrità e i costi elevati della sanità marocchina. La stessa ha affrontato, nonostante tutto, con una certa dignità l’emergenza del Covid-19, che era stata affidata alle poche strutture pubbliche in grado di organizzarsi; certamente il lockdown l’ha enormemente aiutata, permettendo un deciso contenimento dei contagi, se si pensa che ad oggi si contano poco più di 7500 casi e soltanto duecento morti in tutto il Paese, con un saldo di guarigioni, circa cinquemila, del tutto favorevole.
La notizia del prolungamento della chiusura in casa di altre tre settimane è arrivata come uno schiaffo ai marocchini a fine Ramadan. Accettato malvolentieri persino dai ministeri economici del governo che l’ha deciso, tale prolungamento è visto come la palese dimostrazione della fragilità della sanità pubblica e della paura concreta che il Marocco precipiti in un baratro funereo.
È del tutto evidente la possibilità di una diffusione rapida in centri sovraffollati come le ...[continua]
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