l’estate del 2020 è stata tanto diversa in Marocco come e forse più che in altre nazioni. Ed è stato così a causa della pandemia in corso. Se la chiusura del Paese da marzo a giugno, prolungata oltre nel corso dell’estate, aveva sortito l’effetto di far credere che la diffusione del virus avrebbe potuto essere, se non arrestata, per lo meno contenuta, è stato sufficiente il mese d’agosto, con l’apertura parziale voluta per i festeggiamenti tradizionali dell’Aid Al Adha, Festa del sacrificio, a trasformare l’allerta in qualcosa di più inquietante, facendo presagire la possibilità di una catastrofe, soprattutto a causa, come quasi dappertutto, dello scarso equipaggiamento delle strutture ospedaliere pubbliche e della carenza di personale medico e infermieristico.
L’immagine di ospedali assediati da centinaia di persone risultate positive al Covid e spesso sintomatiche e malate sta creando il panico, così come la cosciente paura di finire spediti in altri ospedali da campo attrezzati rapidamente in maniera approssimativa nelle cittadine circostanti dei più importanti centri. In testa Casablanca, sovrappopolata metropoli dove la diffusione è rapida e incontrollabile (da qui i malati di Covid vengono indirizzati nei centri di El Jadida e Benslimane e in quest’ultimo so per testimonianza diretta che i pazienti vengono trattati molto bene e spero lo stesso capiti in tutte le strutture organizzate per gestire l’emergenza), e così pure Marrakech a sud e Tangeri a nord. Si vedono famiglie straziate dalla separazione dei propri cari, portati via d’autorità per l’assenza di posti letto vicini, persone che si abbracciano, si baciano e piangono sopraffatte dal panico di una situazione per cui una certa politica, del tutto inadeguata, attribuisce proprio alla gente semplice la causa della diffusione e così facendo non contribuisce però all’educazione sistematica su come andrebbe affrontata l’infezione pandemica.
Lo stato concede tre tamponi a famiglia, gli altri vanno pagati e costano sessanta euro ciascuno: si può ben immaginare come per la famiglia media marocchina, che vive in genere in piccoli spazi con famiglie allargate e medie di sei o sette membri, per tutti i quali è ovviamente necessaria la verifica sanitaria quando si verifichi un caso di infezione, questo sia un ulteriore dato critico per la tenuta economica nel periodo emergenziale.
I medici lamentano, persino attraverso qualche sit in o protesta improvvisati la carenza di personale (circa settecentocinquanta medici di rianimazione in tutto il Paese e di questi soltanto duecento nel servizio pubblico), l’inadeguatezza delle scelte amministrative, le carenze strutturali soprattutto per i casi di rianimazione. Superata la soglia dei mille morti a causa del Covid, si sta rapidamente raggiungendo quella dei 100 casi gravi che quotidianamente necessitano di reparti ben strutturati per le urgenze e la rianimazione (il 1 settembre erano 73 i casi segnalati). È davvero imprevedibile cosa succederà in settembre e nei mesi successivi e c’è solo da sperare in un’incidenza di impatto più leggero del virus, così come lo si spera in tutto il mondo. Giornalisti e opinionisti invocano il superamento della logica dell’emergenza autoritaria in favore di una politica di convivenza col virus, anche e soprattutto a fronte del collasso prima di tutto dell’economia, ma anche dell’istruzione. Pure in Marocco ci si prepara infatti alla riapertura delle scuole con tutti i timori e le incognite e soprattutto le difficoltà oggettive del caso. Il 7 settembre dovrebbero riaprire e il Ministero affida ai genitori la scelta tra insegnamento a distanza o in presenza. Un’opzione difficile, laddove i ragazzi dopo lunghi mesi di chiusura hanno un estremo bisogno di contatto sociale e nella maggior parte dei casi è improbabile che abbiano gli strumenti per poter partecipare a lezioni a distanza, senza connessione internet né strumenti tecnologici adeguati.
L’economia è in stress acuto: si è stimata una crescita pari a zero nel primo trimestre dell’anno in corso, un crollo di quasi il 15% nel secondo trimestre e si prevede a malapena una ripresa intorno al 4% nel terzo trimestre. Si stimano nel 15% le crisi d’impresa, fallimenti che nel 2020 potrebbero raggiungere i diecimila casi, colpendo soprattutto il vero tessuto economico del Paese, le piccole e medie imprese che rappresentano il 95% dell’economia nazionale.
Il turismo e le rimesse dall’estero, così importanti p ...[continua]
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