La copertina è dedicata a tutti gli alluvionati di Romagna e poi anche a tutti i volontari e le volontarie che hanno dato una mano a liberare case e strade dal fango. Giovanni Damiani, che da una vita studia i fiumi, qui a fianco ci spiega come stanno le cose riguardo al da farsi, che è molto diverso da quel che già in tanti propongono. Mai come in questo caso il problema è innanzitutto “a monte”, dove per millenni l’acqua è stata trattenuta dai boschi, dai tappeti di foglie, dal muschio, prima di scendere al fiume. E questa è solo una delle difese naturali che si sono perse e si continuano a perdere in nome della “crescita”.
In un momento così grave e triste per tante famiglie, i volontari sono stati certamente un raggio di luce. Eppure è utile considerare normale lo slancio altruista che ha spinto tanti ragazzi a immergersi nel fango. Far qualcosa di buono, insieme ad altri, stringere nuove amicizie, rompere la monotonia quotidiana e sentirsi protagonisti, sono sentimenti innati nell’umanità e questo troppo spesso viene dimenticato in una società in cui le occasioni del “fare insieme” sono sempre più ridotte e dove “farsi i fatti propri”, oltre a essere la parola d’ordine di gente avvilita, è lo stato di fatto della vita quotidiana odierna. Ci dicevano che una cena con amici in una città come Milano va organizzata con settimane di anticipo per via delle distanze da percorrere e dei vari impegni da combinare. Purtroppo non ci sono più i quartieri operai e la socialità non è più data. La politica, soprattutto quella che alle parole libertà e democrazia vuol unire la parola “sociale”, dovrebbe tenerne conto e darsi come primo compito la presenza e l’impegno fra la gente per costruire occasioni di impegno e di incontro, di crescita culturale e politica. L’idea che la politica si riduca a un programma di governo, a un “ceto” politico professionale, inevitabilmente privilegiato e a volte anche inevitabilmente corrotto, e a dei comitati elettorali “solve et coagula”, è malsana e va lasciata a chi crede alle élite, con capo e gregari, e che, in cuor proprio, pensa che il suffragio universale sia una disgrazia inevitabile. Bisognerebbe che parole come cooperazione e mutualismo tornassero a essere al centro dei programmi di un partito; bisognerebbe rifare, adattate ai tempi, le case del popolo e, con un sindacato finalmente unico dove “conflitto e conciliazione” vadano insieme, fare delle camere del lavoro il ritrovo “degli affini e dei vicini” e anche vere e proprie “borse del lavoro”, come furono in origine; bisognerebbe confederare l’associazionismo, troppo spesso chiuso in se stesso e con un rapporto con la politica solo lobbistico; far diventare le biblioteche dei centri sociali, come ci insegna Antonella Agnoli e intraprendere una lotta strenua contro il classismo della scuola, facendo doposcuola ovunque possibile coi migliori professori volontari e seguendo il mirabile esempio dei maestri di strada napoletani perché non capiti più che, come raccontava Cesare Moreno, un ragazzino che sa smontare e rimontare un motorino in un pomeriggio venga bocciato e ribocciato e vada, casomai, a cercare altrove la considerazione che gli era dovuta; bisognerebbe organizzare movimenti per le riforme, come faceva il Partito radicale, perché in Italia, come sostiene l’amico Andrea Ranieri, ogni vera riforma non può che essere una specie di rivoluzione, avendo bisogno, per vincere le resistenze corporative, di un grande movimento popolare che la sostenga fuori dal Parlamento. Bisognerebbe sostenere, ovunque sia possibile, il “far da sé” collettivo. Bisognerebbe, bisognerebbe... Cosa c’entrano con tutto questo le due ragazzine sorridenti di copertina? Quasi certamente niente. Quasi.

Poi parliamo di lavoro autonomo con Anna Soru, fondatrice, vent’anni fa, dell’associazione Acta; Simon Smith, diplomatico britannico, in servizio a Mosca dal 2004 al 2007 e a Kiev dal 2012 al 2015, ci racconta la degenerazione di Putin, dai tempi in cui credeva in uno sviluppo “europeo” della Russia a quando iniziò l’ossessione per l’Ucraina, della cui invasione l’intervento in Georgia, l’annessione della Crimea e l’avvelenamento del Donbass furono le premesse. Poi torniamo a parlare di carcere e giustizia con Luigi Lombardo Vallauri e di filosofia e del suo insegnamento con Fabio Minazzi. Alfonso Berardinelli in questo numero ci parla di Lewis Mumford, Marco Boato di guerra contro l’Ucraina e di quando Alexander Langer chiese l’intervento militare per rompere l’assedio di Sarajevo; Michele Battini del 25 aprile, delle scelte di allora e di quelle di oggi, Matteo lo Presti dell’ideale della pace universale, Rimmon Lavi, da Gerusalemme, della situazione in Israele dove si rischia l’avvento di una democrazia illiberale, Emanuele Maspoli di immigrati a Torino. Belona Greenwood continua a raccontarci di una sanità inglese allo sbando, Wlodek Goldkorn ci parla dell’uso di un passato che diventa eterno. La visita è dedicata alla tomba di Gunther Anders.