Il titolo completo del libro, di John Davis, a cui faccio riferimento, è Libyan Politics. Tribe and Revolution. E’ un libro del 1987 e riguarda quindi la generazione dei padri dei ragazzi che, per festeggiare, sparano in aria con le mitragliatrici e finiscono bombardati dagli aerei alleati di passaggio, addestrati, lì come altrove, a rispondere al fuoco prima di chiedersi chi spari e perché. Credo abbia senso lo stesso fare riferimento a Tribe and Revolution perché l’autore ha seguito a lungo, nel periodo del consolidamento del potere di Gheddafi, la vita, la politica, le idee dei libici, in particolare degli Zuwaya, insediati soprattutto tra Ajdabya -dove finisce la zona più o meno coltivabile a sud di Benghazi e comincia il deserto, anche lungo la costa- e Kufra, 800 chilometri più a sud, di cui, almeno allora, 600 di piste, giorni e giorni di viaggio. Ha vissuto, in tenda, per non disturbare, alla periferia di Kufra, dove le case sono in muratura, ha seguito i seminari sulle religioni, le elezioni, la vita dei comitati, la vita delle famiglie.
Sapere come andavano le cose 20 anni fa ad Ajdabya, dove oggi si combatte; conoscere la realtà, modesta, e i limiti, grandi, della politica dei comitati; le idee; i rapporti col Capo, aiuta a immaginarsi qualcosa per il futuro, oltre la contrapposizione tra tiranno e popolo.
Per rendere conto dei temi trattati, il sottotitolo dovrebbe aggiungere petrolio e religione. Del petrolio è difficile dimenticarsi. L’accanimento con cui si combatte per i terminali; la fretta con cui gli insorti dichiarano di essere pronti a riavviare la produzione, ci ricordano da dove viene la ricchezza con cui sono stati pagati i milioni di lavoratori stranieri, soprattutto egiziani e tunisini, che facevano funzionare il Paese e che sono fuggiti a centinaia di migliaia verso la frontiera più vicina. Occorre solo ricordare che Davis introdusse il concetto di hydrocarbon society, sulla scia della società idraulica di Wittfogel, per indicare quegli stati in cui più del 90% della ricchezza deriva dal petrolio e in cui, quindi, il capo del Governo, tribale o rivoluzionario che sia, ha in mano quasi tutte le risorse, non deve farsi pagare tributi, può aggirare qualsiasi decisione locale, può pagare in proprio armi e soldati, deve solo mantenere solida la lealtà della sua famiglia e del gruppo di uomini di altre famiglie con cui ha preso il potere.
Della religione, invece, non si parla quasi. In effetti, ci spiega Davis e ci confermano altri autori, malgrado il peso della confraternita religiosa dei senussi nella resistenza alla occupazione italiana e nella monarchia che la sostituì, non c’è in Libia una importante scuola di pensiero islamico. Manca perciò anche la tradizione giuridica dell’Islam. Gheddafi pensò di liberarsi della possibile alternativa di potere costituita dalla pur debole presenza degli ulema assumendo lui il ruolo di leader religioso, attraverso il ritorno al Corano e la cancellazione della sunna, delle interpretazioni, e di tutte le competenze e sottigliezze legate alla storia delle interpretazioni. Lui e i suoi erano militari, persone con istruzione tecnica, non autorità religiose. Perciò fu promossa nel paese una serie di seminari, anche interreligiosi, di cui Davis ci riporta la cronaca, con il debito invito ai cattolici, che parteciparono e si defilarono. La stessa operazione fondamentalista del Fis in Algeria: cancellare la tradizione interpretativa e usare una propria versione puritana del Libro per dare una base giuridica alla Repubblica rivoluzionaria dei consigli.
Tutti avevano diritto di parola, con qualche rischio se la parola era troppo dissenziente, ma la conclusione era sempre in mano al Governo. Il tentativo non ebbe lunga vita e fu sostituito da una serie di conflitti -lo scontro politico con Sadat, l’appoggio militare a Idi Amin Dada, il tentativo di conquista del Chad- di cui nelle riunioni, come Davis ci racconta, arrivano solo le discussioni tra i giovani e i vecchi della stessa famiglia sulla opportunità di andare a morire in un altro paese, per di più nero, solo perché il Leader è anche lui islamico. Conclusione: sì, dovete andarci, perché i cugini ci sono già andati. Rossore e resa dei giovani.
Il contributo più interessante è costituito dal rapporto tra gerarchie famigliari e gerarchie pubbliche -le tribù, per chiamarle così, e i consigli- i comportamenti alle elezioni, le opinioni dei giovani e quelle degli adulti, sulla costa e ...[continua]

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