L’appassionante studio dei virus e delle loro strategie evolutive, sempre volte comunque a non far troppi danni all’ospite altrimenti il loro viaggio terminerebbe; il problema delle zanzare, aggravato dalla globalizzazione e dal riscaldamento climatico; la preoccupazione per i crescenti atteggiamenti antiscientifici, alimentati paradossalmente dai successi della scienza che hanno fatto sì che perdessimo la memoria di tante malattie del passato. Intervista a Marco Vignuzzi.
Marco Vignuzzi, virologo, lavora presso l’Istituto Pasteur a Parigi, dove coordina un laboratorio sperimentale impegnato nello studio delle strategie di replicazione e mutazione dei virus a Rna.
Puoi raccontarci delle tue ricerche sui virus?
Sono ormai vent’anni che studio l’evoluzione virale. Nel nostro laboratorio sostanzialmente utilizziamo la biologia, ma sempre di più anche la matematica, per cercare di predire le prossime epidemie.
Questo interesse è cominciato durante il mio post dottorato in un laboratorio in California. Sono stato il primo a trovare un modo per rallentare l’evoluzione virale; all’epoca studiavo il virus della poliomelite.
Noi oggi studiamo in particolare i virus che utilizzano l’Rna come materiale genetico, che è un acido nucleico meno stabile del Dna. La caratteristica di questo tipo di genomi è di avere un’evoluzione molto più rapida. I virus a Rna non sono in grado di correggere gli errori durante la sintesi, quindi tali errori si accumulano portando ad una evoluzione più rapida e a una mutazione continua. Pensiamo al virus dell’influenza che ogni anno ci costringe a cambiare vaccino.
Come dicevo, ho cominciato studiando il virus della poliomelite, che è una malattia ormai quasi scomparsa dal mondo; lo utilizziamo in laboratorio come modello per studiare gli altri virus a base Rna. Io, all’epoca, avevo isolato una forma che commetteva meno errori del virus normale. Questo mi ha permesso di mostrare come la diversità genetica, la capacità di creare mutazioni, sia essenziale allo sviluppo, all’evoluzione del virus. Quando il virus rallenta, infatti, non riesce più a portare alla patologia.
In seguito ho avviato un mio laboratorio a Parigi e ho esteso la ricerca ad altri virus. Attualmente studiamo, tra l’altro, gli enterovirus, la famiglia cui appartiene anche il virus della poliomelite; tra questi c’è, ad esempio, l’enterovirus 71, che rappresenta un grosso problema in Cina: ogni anno si verificano milioni di casi, soprattutto nei bambini. Poi studiamo i virus che vengono trasmessi dalle zanzare all’essere umano, come il virus della chikungunya, lo zika, i virus della dengue e altri. In laboratorio infettiamo le zanzare con i virus che abbiamo caratterizzato e poi ne seguiamo l’evoluzione, per identificare i cambiamenti o le mutazioni che emergono. Questo nella prospettiva di poterci preparare nel caso quella stessa mutazione si dovesse verificare nei prossimi anni nel mondo reale.
Sono ricerche che in futuro potranno essere utili per creare un vaccino, un antivirale, ma anche solo per una più efficace sorveglianza. Studiare le possibili mutazioni ci aiuta a prevedere se il virus, ad esempio, andrà verso una forma più virulenta o meno.
Dicevi che utilizzate sempre di più la matematica, le nuove tecnologie...
Fino al 2005 esisteva un solo metodo per avere la sequenza del genoma, un metodo abbastanza semplice, ma costoso, e che necessitava di tempi lunghi. Oggi, grazie a questa nuova tecnologia, nota come "next generation sequencing”, possiamo sequenziare grandi genomi in un tempo ristretto. Considera che noi operiamo su milioni di virus. Una tale quantità di dati necessita anche della matematica applicata, perché è impossibile altrimenti trattare, che so, venti milioni di sequenze. Così in questi anni abbiamo fatto entrare in laboratorio nuove discipline. Oggi ci sono metà biologi e metà matematici.
Noi comunque facciamo la virologia fondamentale, la ricerca di base. Siamo lontanissimi dallo sviluppare un vaccino; facciamo delle cose che forse tra dieci o vent’anni serviranno a fare un vero vaccino. Questo ci dà anche la libertà di sperimentare metodi non convenzionali.
Attualmente, per esempio, abbiamo trovato un modo per cambiare il futuro dell’evoluzione di un virus. Un virus è limitato in quello che può diventare. Ecco, quello che facciamo è mutare il cammino evolutivo di un virus, per esempio portandolo verso la sua stessa morte.
Dopodiché, ripeto, il salto dal laboratorio ai test clinici è enorme. Noi in laboratorio operiamo nelle cellule o, al limite, nelle zanzare, ma ci fermiamo lì. Abbiamo anche depositato un brevetto, per cui adesso se le aziende farmaceutiche o altri saranno interessati a proseguire il nostro lavoro, per svilupparlo verso qualcosa di più pratico, possiamo aiutarli a farlo. Il rapporto tra la ricerca pubblica, fondamentale, e quella privata, resta controverso e devo dire che io non ho una mentalità
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continua]
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