Puoi raccontarci del tuo impegno nei Balcani negli anni Novanta?
Il mio è un approccio particolare perché sono austriaca, ma faccio parte di una minoranza, quella croata, e quindi sono sempre stata impegnata e legata alla ex Yugoslavia. Conoscevo molto bene quel paese e quando ha iniziato a dissolversi mi sono sentita minacciata, però ho capito molto presto, e non ero l’unica, che non c’era speranza per la Yugoslavia.
Milosevic è stato il primo a prendere la deriva nazionalista. Tudjman lo ha seguito. Io criticavo il popolo croato: trovavo una follia rispondere al nazionalismo con il nazionalismo. Ad ogni modo, la guerra incombeva e io ero membro del parlamento austriaco. Abbiamo fatto una specie di tentativo, diciamo così, amichevole facendo visita a Tudjman, Milosevic e Kucan, l’allora presidente sloveno. Ci abbiamo provato. Non c’è stato verso, come potete immaginare. Era il 1991, agosto. La guerra era già iniziata. Prima di allora avevamo discusso molto con Alexander Langer, che era al Parlamento europeo.
In quegli anni c’era stata anche la crisi irachena. Nel 1991 avevamo avuto la folle idea di prendere un aereo pieno di persone, figure di spicco nei parlamenti e altrove, e volare a Baghdad per impedire agli Stati Uniti di bombardare. Quando si è impotenti si pensa anche a cose molto bizzarre. Io tra l’altro ero incinta in quel periodo. La gente mi chiedeva: “Sei pazza?”.
Comunque all’epoca erano in corso intense discussioni sulle possibilità politiche, sul cosa fare. Poi la guerra in ex Yugoslavia si è intensificata. Mentre eravamo in visita in Croazia come membri del parlamento austriaco, ci fu un bombardamento su Dubrovnik, che distrusse la città vecchia.
Quello che era stato fin da subito chiaro era che la Bosnia sarebbe stata la prossima. Tra le iniziative ideate e realizzate con l’obiettivo di prevenire c’era stata la “karavana prijateljstva”, la carovana dell’amicizia, a cui Alexander aveva partecipato, che si era spinta fino al Kosovo.
A Sarajevo prima dell’inizio della guerra erano scese in strada mezzo milione di persone per dire: “Non vogliamo la guerra, restiamo uniti”. Io c’ero. Ma non ha funzionato e poi sono iniziate le cose orribili. In Croazia la situazione era grave, ma non c’era paragone con la Bosnia-Erzegovina. Ricordo che nel primo periodo, Alexander e io avevamo fatto visita a un campo profughi in Slovenia dove c’erano rifugiati provenienti dalla Bosnia. Avevo dovuto tradurre per tutto il giorno. Quando traduci, sei come una macchina, in qualche modo non pensi. Alla fine della giornata, all’improvviso, ricordo che cominciai a piangere e non riuscivo a smettere; quelle storie erano così orribili… Quasi non volevamo crederci. Le donne ci raccontavano di campi di concentramento, di bambini uccisi, era troppo… Tra noi ci dicevamo: come potremmo vivere, andare avanti, se tutto questo fosse vero. In forma ridotta, era quello che avevano fatto i nazisti. Davvero non volevamo crederci, ma alla fine abbiamo dovuto farlo.
E così è nato il Forum di Verona. Puoi raccontarci?
La prima idea era di fare un incontro presso il parlamento. Poi si è capito che non era possibile. Allora ci siamo messi a cercare persone da tutte le aree dell’ex Yugoslavia che fossero ancora disposte a parlare tra di loro, perché il problema era che nessuno voleva interfacciarsi con il “nemico”. Alla fine abbiamo coinvolto donne e uomini provenienti da tutte le parti del paese. Era però chiaro che non c’era alcuna possibilità di farlo nella ex Yugoslavia. Chi viveva in Croazia non poteva andare in Bosnia o in Serbia e viceversa. Anche le linee telefoniche erano state tagliate.
Questo è un aspetto che ricordo molto bene. I giovani non hanno idea di come fosse la nostra vita prima di internet. Fortunatamente Alexander aveva questa possibilità al Parlamento europeo. Quindi abbiamo allestito una specie di telefonata collettiva, facendo collegare le persone ubicate nelle diverse parti della Yugoslavia. Alex e io in qualche modo coordinavamo, dando la parola ai vari partecipanti. Era anche una cosa piuttosto costosa, ma fu importantissimo!
Ricordo che, alla fine delle nostre conferen ...[continua]
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