Nadia Filippini fa parte della Società Italiana delle Storiche. Ha collaborato al volume Nascere a Venezia, 1985. Tra le opere pubblicate La nascita straordinaria. Tra madre e figlio, la rivoluzione del taglio cesareo (sec. XVIII-XIX), Franco Angeli 1985, e recentemente il saggio Il cittadino non nato e il corpo della madre in Storia della maternità, Laterza 1997.

Dicevi che la scelta del taglio cesareo come chiave di lettura dei mutamenti in atto nel XVIII secolo è stata casuale. Puoi raccontare?
In effetti l’idea di rileggere quel periodo storico da questo particolare punto di vista è stata casuale. Del resto nelle ricerche avviene spesso che le cose più interessanti si scoprano per caso. Tra l’altro l’inizio di questa indagine ha anche una data precisa: il 1985. Infatti, nell’85 qui a Venezia è stata allestita una mostra sulla storia della nascita che si intitolava appunto "Nascere a Venezia". Per realizzare questa iniziativa si era formato un gruppo di lavoro composto da storiche, perlopiù donne, ma anche da medici e specialisti, al fine di proporre un’ottica multidisciplinare. All’interno di questa indagine collettiva preliminare era subito venuta alla luce un’anomalia, un’incongruenza. All’inizio mi ero limitata a constatarne la "stranezza", imputandola al fatto che in fondo sono una storica, non un’esperta di storia della medicina. La stranezza consisteva nel fatto che a metà del XVIII secolo si assiste a una crescita esponenziale dei tagli cesarei, e questo malgrado il fatto che le donne a cui veniva praticato morivano tutte, o quasi. La stessa percentuale fornita dai medici, realisticamente molto inferiore al vero, superava comunque il 60% di decedute. A quel punto, noi storiche, consapevoli di essere prive di adeguata preparazione medica, abbiamo consultato gli specialisti chiedendo spiegazioni. I conti infatti non tornavano, neanche dal punto di vista della storia della scienza. Insomma, se l’utilizzo, almeno potenziale, di questa pratica, risaliva almeno al XVI secolo e se era sempre stata assolutamente fallimentare, perché le donne venivano fatte partorire col parto cesareo?
Noi siamo abituati a una visione positivista dell’evoluzione scientifica, per cui siamo convinti innanzitutto che tutte le innovazioni scientifiche abbiano una connotazione, per così dire, salvifica e, in secondo luogo, che tutto ciò che cambia nella pratica medica deve essere frutto di una scoperta. Ebbene, nulla di tutto questo: il risultato era fallimentare e non era stato scoperto niente di nuovo! Allora, perché mai?
La ricerca è partita proprio dal cogliere questa anomalia. Ben presto, quando abbiamo scoperto che il taglio cesareo andava sì a uccidere le donne, ma salvava il bambino, abbiamo capito che la diffusione di quella pratica era il segnale di qualcosa di fondamentale che stava cambiando nel campo della nascita, nella gerarchia dei valori e in quella sociale; era un passaggio rilevante proprio dal punto di vista culturale, prima ancora che scientifico. Infatti, se l’obiettivo primario era diventato salvare il bambino, evidentemente per alcuni il bambino, il feto, era diventato più importante della madre.
Allora ho deciso di studiare questa particolare fase storica a partire dalla pratica del taglio cesareo, come fosse un osservatorio privilegiato per cogliere la svolta, i cambiamenti in atto. E’ un po’ come se oggi scegliessimo l’aborto per studiare la storia sociale degli ultimi decenni. Anche la legge sull’aborto infatti mette in luce un cambiamento culturale fondamentale: il diritto di autodeterminazione delle donne rispetto al proprio corpo.
Questa ricerca è stata anche molto lunga perché ovviamente ho dovuto incrociare varie discipline. Infatti, tutte le volte che si toccano questioni relative alla legittimità di una pratica, entrano in gioco una serie di principi e valori, che sono religiosi, ma anche laici, scientifici, politici, per cui tutto si intreccia e diventa estremamente complesso. Ho dovuto verificare cosa sostenevano i teologi, i medici, le donne su tale questione, o l’ambiente sociale, per arrivare a scoprire poi che i medici erano divisi in molte correnti di pensiero, e, ugualmente, il mondo religioso era tutt’altro che omogeneo. Ciò che invece è risultato fin dall’inizio chiaro è che quella pratica era il segnale di un cambiamento fondamentale che avveniva nel modo di vedere il feto e i rapporti madre-figlio.
Possiamo partire proprio dal cambiamento dei rapporti tra feto e ...[continua]

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