Come hai iniziato a occuparti del parto?
Io sono arrivata in Toscana nel 1982 da Trieste, dove avevo studiato, e mi ero specializzata in Ginecologia. Già allora avevo lavorato con un collettivo per la salute della donna, nell’ambito del quale si era cominciato a valutare criticamente il modo in cui le donne partoriscono negli ospedali. L’esperienza perlopiù veniva vissuta come qualcosa da dimenticare, un passaggio necessario per avere un figlio, dove però non c’era nulla di bello. Assistendo a qualche parto in casa a Trieste, invece avevo visto che l’esperienza poteva essere totalmente diversa. Quando le donne sono nel loro ambiente, quando possono essere libere di scegliere, anche autogestendo un po’ la propria esperienza, possono anche avere un travaglio e un parto difficili e dolorosi, e però sono esperienze di crescita, e momenti bellissimi della vita.
In molti ospedali in Italia, invece, anche la relazione madre-neonato non viene affatto salvaguardata e valorizzata: c’è subito la separazione, i neonati vengono portati al nido, e così via. Non c’è alcuna attenzione verso le prime ore dopo la nascita, che invece sono momenti fondamentali nella vita di una persona, perché vi è una particolare recettività, una particolare apertura, e quello che succede in quei momenti si imprime a qualche livello nella coscienza profonda.
Quindi non è di poco conto cercare di curare questo momento speciale della vita sia prima, quindi durante il travaglio, che dopo, appena nasce il bambino. Questo negli ospedali è molto difficile, mentre a casa è tutta un’altra cosa.
Tuttavia, tu hai comunque scelto di operare in ospedale...
Nella nostra cultura l’ospedale è il luogo normale per partorire, quindi mi sembrava giusto cercare di intervenire nel pubblico, in modo che le donne potessero vivere una bella esperienza anche in ospedale: avere accanto chi volevano, avere libertà di movimento, avere accanto l’ostetrica, che, secondo me, è l’esperta del parto fisiologico. Non c’è bisogno del ginecologo, che per sua formazione è più pronto a intervenire, ad accelerare, e comunque a dare una sua direzione al travaglio. Ecco, ho creduto che tutto questo in fondo si poteva fare in ospedale, casomai in un ospedale più piccolo in cui è più facile intervenire.
E così è stato. Quando sono arrivata infatti non c’era il primario, era un momento di potere vacante, per cui ho potuto più facilmente fare delle proposte che sono state accettate dall’amministrazione.
Innanzitutto, nel 1984 abbiamo allestito una stanza per il parto naturale, una camera da letto matrimoniale, con cuscini colorati, con la musica, con la possibilità di renderla più calda e più familiare possibile. E’ un posto dove si bussa per entrare, dove non c’è un via vai continuo, dove l’intimità viene rispettata. E’ questo il luogo in cui hanno cominciato a venire le donne che facevano questa scelta, nel senso che si poteva scegliere il tipo di parto: tradizionale in sala-parto o quello nella stanza del parto naturale. All’inizio erano pochissime le donne che osavano utilizzarlo: erano per lo più delle straniere che venivano da paesi in cui già esistevano esperienze di questo tipo.
Ci descrivi questa stanza?
E’ una stanza da letto matrimoniale, con armadio, cassettone, un tavolo... In questo momento è stracarica di oggetti regalati dalle donne: pupazzi, quadri, ninnoli, ed è anche divertente nella sua sovrabbondanza. Accanto c’è un grande bagno. Questa è stata una novità degli ultimi anni perché prima avevamo una vasca piccolissima, dove le donne stavano praticamente sedute, e però vi trascorrevano molto tempo. Quindi abbiamo pensato di mettere una vasca grande, dove si potesse rimanere a lungo e più comodamente, eventualmente anche partorire. Ma non era questa la cosa più importante, quanto invece il poterci stare nella fase più dura del travaglio, quella più dolorosa. Per il resto, è una stanza molto normale, se non per questa sovrabbondanza di oggetti, di colori, eccetera.
Il personale come ha reagito a questi cambiamenti?
Il personale è rimasto ovviamente lo stesso. La cosa bella è che ha imparato ad assistere in un certo modo: le ostetriche ormai sono in grado di individualizzare il tipo di assistenza, di ascoltare la donna con l’attenzione c ...[continua]
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