Massimo Paci insegna Sociologia alla Facoltà di Economia di Ancona. E’ autore di numerosi saggi sulle classi sociali e la struttura sociale italiana. L’ultimo suo lavoro è Le dimensioni della disuguaglianza in Italia, rapporto del Cespe sulla disuguaglianza in Italia, Il Mulino.

Di fronte alla complessità della società italiana attuale ha senso parlare ancora di classi sociali?
Preferisco parlare di stratificazione sociale, di classi all’interno della stratificazione sociale, identificando alcuni grandi gruppi, o ceti, che possono essere ulteriormente suddivisi. Per fare un esempio, in Italia il fatto macroscopico è rappresentato dalla neo borghesia professionale e di piccola impresa e dalla nuova borghesia finanziaria: si tratta di due-tre ceti formati da professionisti, imprenditori e intermediatori finanziarii che si sono rafforzati nel corso degli anni ’80. Ma, accanto a ciò, quello che ultimamente vedo delinearsi è un processo di unificazione sociale del lavoro dipendente. In altri temini, mentre, da un lato, all’interno del lavoro impiegatizio ed operaio riscontriamo un allungamento della gerarchia professionale, per cui abbiamo tante figure nuove di impiegati e di tecnici e, all’interno delle stesse figure operaie, c’è un’articolazione più complessa; dall’altro, la frattura che una volta esisteva tra impiegati e operai è saltata: questo significa che è in corso un’unificazione sociale che non vuol dire "omologazione".
C’è un’unificazione sociale all’interno di una crescente articolazione professionale: è come se l’articolazione professionale, che eppure c’è e si complica, diventasse meno rilevante a fronte di una massa di lavoratori dipendenti che condividono certi consumi, che hanno caratteristiche comuni rispetto, per esempio, alla pressione fiscale, che hanno più o meno le stesse condizioni di orario di lavoro.
Stiamo assistendo alla formazione di una énclave di benestanti e a un tendenziale impoverimento dei ceti medi e popolari?
Prima facevo riferimento ai tre tipi di borghesia che si sono aggiunti alla grande borghesia tradizionale italiana; anche dai dati in mio possesso risulta che si è verificato un ampliamento del vertice della società, questo fatto ci porta a pensare che anche in Italia c’è stato un accesso alle posizioni di opulenza e di relativa egemonia di potere da parte di uno strato consistente. Prendendo in esame soltanto la grande borghesia, e quindi i grandi imprenditori, i grandi liberi professionisti, escludendo dirigenti, funzionari e piccoli imprenditori, siamo passati dall’1% al 4%, che non è poco: è un aumento di quattro volte. Nessun gruppo professionale ha avuto un aumento di queste proporzioni. Quindi, da un lato, c’è questo processo e, dall’altro, c’è un processo di deriva, di abbandono, di esclusione, di segmentazione verso il basso, Anche se non parlerei di underclass, perché questo è un termine che giustifica una concezione moderata dello stato sociale, per cui c’è una minoranza che ha bisogno dell’assistenza dello Stato e il resto invece si deve arrangiare.
Tuttavia, la teoria dell’underclass coglie un elemento della realtà, perché al di sotto dello strato di lavoro dipendente esiste una sorta di proletariato postindustriale, di proletariato dei servizi, composto innanzitutto da emigrati, da giovani drop out che non ce la fanno a terminare gli studi e a inserirsi stabilmente nel mercato del lavoro a livelli decenti, da donne non giovani che tentano di entrare nel mercato del lavoro perché, per esempio, hanno avuto un altro figlio e nella famiglia c’è bisogno di un altro reddito e vanno a fare le pulizie. Insomma, c’è una moltiplicazione dei lavori d’ingresso nel mercato del lavoro che per alcuni possono essere momentanei: per esempio, lo studente che termina gli studi e ce la fa a passare oltre; però, sempre più vediamo una fascia di persone entrare in questo segmento e restarci: pensiamo al mezzogiorno, al declino di certe zone industriali nelle metropoli del Nord, ex casalinghe, ex operai, donne che rimangono vedove con figli.
Ci sono, pertanto, fasce di popolazione che confinano con la povertà: è un sottobosco urbano, metropolitano, che svolge attività che vanno dalla vendita porta a porta all’autolavaggio, magari al semaforo. Insomma una sorta di "terziario povero" in forte espansione.
Il processo di modernizzazione del nostro paese continua ad essere molto rapido…
Forse ancora non ci siamo resi conto del crollo, della forte diminuzione, del ...[continua]

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